L’occhio naufrago di Carlo Michele Schirinzi a Fuori Orario
Tv In prima visione su Rai3 una selezione dei lavori del regista pugliese. Un cinema che incontra la filosofia, la pittura, il sacro, il porno, la mitologia
Tv In prima visione su Rai3 una selezione dei lavori del regista pugliese. Un cinema che incontra la filosofia, la pittura, il sacro, il porno, la mitologia
È un cinema, quello di Carlo Michele Schirinzi, che si dibatte in un’infinita «incerta visione» – per usare un’espressione, riferita a un suo lavoro, Palpebra su pietra, dell’immenso e sempre sorprendente filmmaker pugliese. Un vivisezionatore del corpo dell’immagine, senza sosta. Un artigiano (nel senso più nobile del termine – fa tutto lui costruendo un cinema autonomo e anarchico, da infaticabile pioniere dello sguardo, di uno sguardo ovunque tattile) che dal 1999 ha avviato un percorso di ricerca senza eguali nel panorama filmico italiano. Alla sua «incerta visione» Fuori orario dedica l’intera notte entrante (dalle 0.55 alle 7 di domani mattina su Rai Tre – poi i film, tutti in prima televisiva, rimarranno per un mese su Rai Play) intitolata Storie dell’occhio – Il cinema autarchico di Carlo Michele Schirinzi, a cura di Fulvio Baglivi. Occasione da non lasciarsi sfuggire per compiere un viaggio – parziale ma significativo – nell’immaginario stratificato di un autore «convinto che filmare altro non sia che un insensato perdersi nella materia» e che nel 2004 ha fondato la Untertosten Film – produktionen autarkiken con la quale firma i suoi testi «sbeffeggiando l’industria cinematografica». E che arriva dopo l’ampio omaggio che il cinema Massimo di Torino gli aveva dedicato nel 2022 comprendente anche la pubblicazione di un prezioso quaderno di saggi, L’occhio naufrago.
L’OCCHIO, l’iride, la palpebra sono elemento carnale e teorico imprescindibile nella poetica di Schirinzi. E ben sarà evidenziato nei tre programmi che andranno in onda, tre blocchi dentro i quali naufragare tra «fuochi fatui», ovvero estratti dai suoi due lungometraggi I resti di Bisanzio (2014) e Padrone dove sei (2019), e film interi, in maggioranza molto corti – ma la durata è un’altra dimensione tutta da re-inventare nel cinema espanso di Schirinzi che, come scrive Grazia Paganelli nell’introduzione a L’occhio naufrago, si colloca «tra Stan Brakhage e Stephen Dwoskin». I titoli delle tre parti, altrettanti capitoli macro-tematici, già sintetizzano le contaminazioni messe in atto da Schirinzi il cui cinema incontra la filosofia, la pittura, la scultura, il sacro, il porno, la mitologia: Holos kaustos (nel senso letterale di «tutto brucia»), Occhio dissepolto su membra esanimi (e come non pensare a un’altra parola cara a Schirinzi, autopsia, nel suo significato greco, «il vedere con i propri occhi» – ed ecco ancora riaffiorare potente Brakhage…), Sacro (da camera) a tentativi.
Quest’ultimo capitolo comprende quindici film realizzati da Schirinzi tra il 2000 e il 2009. Siamo quindi nei meandri della parte iniziale della sua filmografia. Tra gli altri, sarà proposto Notturno stenopeico (2009), miglior cortometraggio italiano al ventisettesimo Torino Film Festival. Senza dialoghi (come molto suo cinema), è un gioco di «rimbalzi di luce» all’interno dell’inquadratura buia in cui, ri-tagliate in dettagli, si alternano e dialogano due derive: quella contenuta negli affreschi del Diluvio Universale e quella vissuta dai migranti odierni su barche in mezzo al mare.
E SI VEDRÀ anche Palpebra su pietra (2006), visione di una statua barocca e di altri luoghi attraverso l’immagine che assume la forma di una palpebra che si dischiude e chiude lasciando intra-vedere frammenti di cose punteggiati da canti e rintocchi sonori.
Il secondo e il primo capitolo comprendono invece sia brani da I resti di Bisanzio (che segnò il folgorante esordio nel lungometraggio di Schirinzi) e Padrone dove sei (film «muto» non per l’assenza di dialoghi, ma perché aderisce al sentimento del cinema muto, e dunque dell’hard, che «muto» è…) sia altre opere intere composte da Schirinzi in tempi più recenti. Fino a Requiem per profondità (2023), capolavoro di sette minuti, privo di sonoro, nel quale onde come nuvole in movimento, o viceversa, ripetono il loro moto macchiate da lampi rossastri. Rosso come sbavatura, «colata» cromatica, pittorica, da albori del cinema in un testo che potrebbe durare all’infinito, che (ci) ri-pulisce lo sguardo e sgretola le quattro pareti. Le onde occupano tutto lo schermo e debordano, si espandono nel fuori campo, raggiungono e inondano quanto sta oltre e chi da osservatore diventa partecipe di una profonda esperienza sensoriale. Questo, fra le tante altre cose, comunica il cinema di Carlo Michele Schirinzi. Che ha appena terminato il suo nuovo film, Lucifero, da lui definito «un film sulla caduta che inizia dove fini
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