Cultura

«L’occhio in gioco», ovvero l’inganno del visibile

«L’occhio in gioco», ovvero l’inganno del visibileDisco base per zootropio, realizzato da H. G. Clarke & Co. a Londra nel 1870

Mostre Al Palazzo del Monte di Pietà di Padova, illusioni ottiche, specchi deformanti, slittamenti percettivi: un viaggio visivo che dal Medioevo arriva alle avanguardie

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 1 dicembre 2022

Di fronte al Disco base per zootropio, realizzato da H. G. Clarke & Co. a Londra nel 1870, l’associazione al surrealismo è immediata. Centrale è l’occhio e la sua forma. Luis Buñuel, in uno dei suoi primi film, Un cane andaluso (1929), taglia un occhio in primo piano. Non tutto quello che percepiamo è reale, così come non tutto ciò che è reale è visibile. Illusioni ottiche, specchi deformanti, effetti cromatici, inganni visivi. L’occhio in gioco è una mostra che non può non affascinare chi considera lo sguardo una forma di godimento: si può visitare al Palazzo del monte di Pietà di Padova fino al 26 febbraio 2023. E Padova è un osservatorio storico ideale, ricordando le lenti di Galilei e la nascita del Gruppo N (all’inizio si chiamava Ennea – Nove in greco perché fondato da nove membri), che prendendo ispirazione dalla psicoanalisi, aveva messo negli anni ’60 in connessione psiche e effetti ottici in una nuova forma di espressione. Per ispirazione, l’evento richiama The Responsive Eye presentata al Moma di New York nel 1965. Anche allora il tema erano le tendenze astratte dell’arte ottica e percettiva, di cui ne resta traccia del video di un giovanissimo Brian De Palma.

I curatori Luca Massimo Barbero per il profilo storico e Guido Bartorelli, Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi per la linea artistica e di psicologia della percezione, hanno preferito un andamento tematico e interdisciplinare a quello cronologico. Così, sono stati esaltati i punti di contatto e le contaminazioni tra epoche, stili e discipline diverse. Dalla pittura alla scultura, dalla fotografia alla tecnologia, dalla filosofia alla scienza, possiamo addentrarci in un viaggio visivo che dal Medioevo arriva alle avanguardie: dalle sfere cosmiche del Liber divinorum (1225) arriviamo a Kandinskij e a Boccioni; dal Movimento (1923) di Anton Giulio Bragaglia finiamo di fronte alla copertina di Space Oddity di David Bowie ideata da Vernon Dewhurst (1969).

Il visitatore viene a trovarsi in quello spazio di gioco che Walter Benjamin aveva intuito come unico rimedio al declino dell’aura nelle opere d’arte per effetto della sua riproducibilità di massa. Perduta la propria unicità e autenticità assoluta, non va restaurata la sacralità dell’opera, ma ne va esaltata la potenza socializzante.

La tecnologia può aiutare l’uomo ad ampliare il suo grado di comprensione del mondo, passando da uno spazio elaborato dalla coscienza a uno spazio elaborato inconsciamente e per questo più largo. Si tratta di quell’inconscio ottico cui attingono gli artisti patavini del Gruppo N, che avevano messo insieme Bauhaus, la teoria della Gestalt e le sperimentazioni dello psicoanalista Cesare Musatti. A questa tendenza ottico-cinetica (Optical), viene dedicata una monografia che conclude il percorso. Lo sguardo passa dalle forme reali dell’opera all’effetto che induce nell’osservatore. Cinque installazioni di artisti del gruppo N, collocate in luoghi importanti della città, inseriscono la mostra nelle celebrazioni degli 800 anni dell’Università di Padova.

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