Una mostra di grande interesse, organizzata dalla Fondazione Ragghianti di Lucca (fino al prossimo 1 aprile) insieme alla Fondazione Simonetta Puccini per Giacomo Puccini e al Centro Studi Giacomo Puccini, a cura di Gabriella Biagi Ravenni, Paolo Bolpagni e Manuel Rossi, che firmano insieme anche il catalogo (edito dalla Fondazione), presenta per la prima volta un aspetto inedito del compositore, di cui furoreggia, tra non poche polemiche, il centenario della morte. Puccini fotografo va nella direzione di legame con il suo tempo che sottolineava fortemente Sylvano Bussotti, cultore e difensore del musicista in epoche a lui avverse, che nel programma di sala di una fortunata Tosca all’Arena di Verona nel 1984 (protagoniste, in alternanza Eva Marton e Shirley Verrett), sottolinea come il compositore, lungi dall’essere fanatico dell’Ottocento, di cui pure ha celebrato i miti culturali aveva una: «spregiudicata, cinica, sadica volontà di essere moderno, a dispetto di quell’800 che non doveva essergli tanto caro, come dimostreranno le sue avidità d’automobili, motoscafi e percussioni in partitura».

LA FONDAZIONE nel 2018 aveva proposto Per sogni e per chimere, mostra e catalogo assai ampi, per esplorare il mondo delle relazioni del compositore con l’arte del suo tempo. Ora, invece, Qual occhio al mondo propone un viaggio nella doppia rappresentazione di Puccini fotografo e fotografato, un doppio binario ricco di sorprese e conferme, rispetto all’iconografia più consolidata. Le immagini scattate dal maestro, circa novanta, per la maggior parte inedite e qui presentate solo in versione vintage, documentano i luoghi di affezione e di vita, quelli che tornano di più nella sua esistenza. Torre del Lago, Viareggio, Chiatri, sulle colline di Massarosa, la dimora di inverno all’Abetone scorrono insieme alla rappresentazione dei viaggi verso destinazioni esotiche, nel corso di una inesausta wanderung in Egitto e negli Stati Uniti in relazione alle produzioni maggiori delle sue opere e alle prime dei suoi titoli nel nuovo mondo.
Gabriella Biagi Ravenni nel saggio introduttivo sottolinea come questi materiali nell’archivio finora non fossero stati mai presi in considerazione, visto che gli studiosi sono sempre stati più interessati a quelli che Puccini chiamava i ritratti del musicista. In quel campo Alfredo Caselli, che metteva in collegamento il compositore con Giovanni Pascoli a Castelvecchio di Barga aveva il ruolo di fotografo ufficiale. La sua rappresentazione per Puccini era sempre stato argomento di grande interesse, a partire dal primo scatto che lo raffigura nel 1877 come musicista in erba, ma già segnato da inquietudine manifesta, con dei tratti da artista scapigliato. Puccini forse iniziò a scattare fotografie nel corso del viaggio siciliano che aveva compiuto nel 1894 nel momento in cui si stava documentando per la composizione di un’opera da La lupa di Giovanni Verga, che poi abbandonò.

MANUEL ROSSI, che ha lavorato a lungo sull’archivio, titola il suo saggio Un Pantheon per immagini puntualizzando sulla grande presenza di iconografie pucciniane nei cataloghi di fotografie, che poi venivano «cartolinate» e diffuse anche per mezzo postale ai quattro angoli del globo. Come sottolinea Rossi la strategia fotografica non era solo di Puccini, anche Pietro Mascagni, assai attento alla sua immagine, aveva commissionato molti ritratti fotografici.
Uno scatto celebre riunisce i due compositori, insieme al meno noto oggi Alberto Franchetti, che all’epoca furoreggiava dopo il suo debutto nel 1888 a Reggio Emilia con l’opera «metafisica» Asrael, a cui aveva partecipato, per via delle sue parentele Rotschild, la mondanità di mezza Europa. Paolo Bolpagni conclude efficacemente disegnando il profilo della relazione di Puccini con le arti visive, laddove le fotografie seguono modelli pittorici, sottolineando i legami con artisti amati nelle immagini scattate con la macchina Panoram Kodak.