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L’occasione storica per rivitalizzare i piccoli borghi

In un momento in cui ci apprestiamo a immaginare il futuro del nostro Paese, il tema della rivitalizzazione dei piccoli comuni diventa cruciale per schiudere nuovi orizzonti. Abbiamo capito che […]

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 30 dicembre 2021

In un momento in cui ci apprestiamo a immaginare il futuro del nostro Paese, il tema della rivitalizzazione dei piccoli comuni diventa cruciale per schiudere nuovi orizzonti. Abbiamo capito che perseverare nella difesa delle produzioni agricole e alimentari tradizionali, senza salvaguardare il tessuto sociale e comunitario in grado di sostenerle e valorizzarle, non basta più.

Se vogliamo garantire un domani alle aree agricole e alle campagne dobbiamo mantenere viva la socialità dei borghi, dove continuano a diminuire i servizi e allo stesso tempo gli abitanti. Un segnale dalla politica per cambiare questo destino di spopolamento sembra arrivare dal bando per la selezione dei progetti per il programma Borghi, che verrà finanziato con i fondi del Pnrr e che vede Slow Food, insieme ad altre realtà, al tavolo di coordinamento. Bando dove sono previsti dal Ministero della Cultura due tipi di interventi: uno da 580 milioni per progetti di rigenerazione culturale e sostegno alle imprese locali; un altro da 420 milioni da assegnare alle Regioni che selezioneranno un borgo a cui destinare 20 milioni.

L’Italia rappresenta il più importante serbatoio di biodiversità del continente, con circa la metà delle specie vegetali e un terzo delle specie animali presenti in Europa. Ogni ecosistema, anche il più piccolo e fragile ha generato una fitta trama di saperi. I territori montani e di collina rappresentano il 64% della superficie nazionale e ospitano tra il 20 e il 30% della popolazione. È qui che la salvaguardia della biodiversità, la cura del territorio, unite a buone tecnologie (servizi a basso impatto, innovazioni studiate per facilitare la vita quotidiana ed evitare l’isolamento di chi vive in montagna) possono gettare le basi per la rinascita dei borghi e rappresentare un’opportunità straordinaria per attivare economie locali e il tessuto sociale delle comunità.

Le potenzialità delle aree marginali rimangono enormi. Tutelare la biodiversità e prendersi cura di questi territori significa sostenere filiere agricole pastorali e boschive, considerate marginali ma di altissima qualità: mieli di montagna, burro e formaggi fatti con latte di animali al pascolo, vini eroici dei terrazzamenti, varietà autoctone di legumi, fagioli, ceci, lenticchie, cicerchie, di cereali, segale, orzo, farro, grano saraceno, varietà tradizionali di grano duro e di mais, di ortaggi e di tuberi, pani prodotti in quota con farina di segale, di farro, di castagne, di patate, erbe spontanee e aromatiche, piccoli frutti, castagne e mele.

Tutto ciò ci induce a ritenere che non sia pensabile proiettare i borghi nel futuro solo come mete per lo smart working o per il turismo stagionale. Certo, la connessione è imprescindibile, ma è necessario recuperare la dimensione produttiva, sostenere la nascita di aziende di giovani agricoltori, allevatori e casari. È necessario sostenere la rinascita delle botteghe, il cuore pulsante dei borghi, come luogo in cui si ricostruisce comunità e dove rinascono servizi fondamentali per gli abitanti, dagli alimentari alla parafarmacia, dall’edicola al bar. Infine, promuovere i biodistretti. Le aree marginali e abbandonate ora diventano luoghi ideali dove praticare un’agricoltura biologica. Un’agricoltura rispettosa dell’ambiente. Il comparto che attraverso pratiche virtuose, più di tutti gli altri, può mettere a valore queste risorse produttive a rischio di estinzione. Ciò che, di sicuro, abbiamo capito è che il futuro dei nostri borghi passa anche dal cibo e da una sana agricoltura.

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