Lo zoologo scese in campo
«La tribù del calcio», riedizione aggiornata, da Rizzoli Dopo «La scimmia nuda», nel 1981 Desmond Morris studiò il football. Da Tardelli a Mourinho, come sono mutati gli «eroi tribali»
«La tribù del calcio», riedizione aggiornata, da Rizzoli Dopo «La scimmia nuda», nel 1981 Desmond Morris studiò il football. Da Tardelli a Mourinho, come sono mutati gli «eroi tribali»
The Soccer Tribe uscì per la prima volta nel 1981 in una delle patrie del calcio; autore ne era il già direttore della Sezione Mammiferi allo Zoo di Londra: oltre che zoologo, pure laureato in filosofia a Oxford, Desmond Morris aveva tenuto l’incarico allo Zoo fino al 1967, quando uscì il libro che l’avrebbe destinato alla celebrità, La scimmia nuda. Sulla scia del bestseller tradotto in ogni parte del pianeta, Morris dedica all’argomento – i comportamenti dell’animale-uomo –, altri libri famosi, come Il comportamento intimo e L’uomo e i suoi gesti. L’uomo visto da uno zoologo, ovvero un’antropologia con un punto di vista speciale, e tale da mettere in crisi anche il darwinismo, perché leggendo Morris e guardando le foto sempre allegate ai suoi testi, anzi dei suoi discorsi parte integrante, l’evoluzione dalla scimmia all’uomo sembra un’illusione.
L’edizione italiana del libro sui pedatori, come li chiamava Gianni Brera, e sul pubblico degli stadi è del 1982, col titolo La tribù del calcio, nella traduzione di Oreste del Buono: mancava qualche mese alla pipa di Pertini fumante al Santiago Bernabeu nell’attesa dell’urlo-icona di Tardelli. Era «l’affascinante evoluzione dell’uomo da cacciatore a calciatore». Ora il libro culto, con tutto il suo divertimento istruttivo – come dicevano un tempo le circolari di direttori didattici e presidi –, appare in una versione aggiornata, ritradotto (da Stefano Chiapello) e con l’apparato fotografico radicalmente rifatto. La prefazione è del Number One, noto anche come Zero Tituli, José Mourinho. E allora: Desmond Morris, La tribù del calcio, Rizzoli (pp. 335, euro 29,90). Il testo di Mourinho – chi altri? – consta di una sola pagina, che andrebbe trascritta tutta. Però, prima di prenderne il sugo, si dica che la foto di fronte, dove l’allenatore portoghese alza la Coppa di Lega vinta col Chelsea, è un errore editoriale: lì doveva esserci lo stesso Mourinho mentre saluta Moratti congedandosi dall’Inter dopo il Triplete. Lasciamo stare. Il Chelsea si deve credere essere nel cuore di Morris, perché anche la vecchia edizione metteva in prima linea i colori della squadra londinese.
Religione, bellezza, linguaggio universale, tribù: ecco il calcio di Morris secondo Mourinho. Gioco di ogni angolo del pianeta, espressione, comunicazione e chiacchiera infinita, sempre identico a se stesso, il calcio non fa che evolversi: «chi conosce solo il calcio, non conosce davvero il calcio. Chi vede solo ventidue uomini che corrono dietro a un pallone [un famoso dirigente si lamentava di tanta importanza riservata a ventidue uomini in mutande, n.d.r.] non si rende conto delle sue geometrie, della sua coreografia, della sua profondità psicologica, della sua vera natura: è la rappresentazione più fedele della natura umana e delle sue componenti, una tribù in cui regnano la razionalità della tattica e l’emozione e il divertimento del gioco».
Sì è detto che l’apparato delle illustrazioni è stato completamente rifatto: è stato perfino sostituito un dipinto di L.S. Lowry, Going to the Match con l’altro, omonimo, che ora si trova all’England’s National Football Museum di Manchester: tanti omini che vanno verso uno stadio sperso nella periferia di una città industriale, una cosa tra Brueghel e Sironi; gli dèi intervenuti nel frattempo aprono il volume, Maradona e Messi, idealmente sostituendosi o idealmente continuando gli dèi antichi, fino a Cruijff: l’Olimpo è affollato, ma la memoria è breve. Il linguaggio non ha la patina letteraria prestata da del Buono, ora è più veloce, come semplicemente dal confronto tra le due versioni dell’incipit del capitolo «I multiformi aspetti del calcio», diventato «I diversi volti del calcio». Il paragrafo che era «La partita di calcio come caccia rituale» è ora «Il calcio come rituale di caccia». Il vecchio inizio: «Questo è uno degli aspetti meno palesi del calcio, mascherato dal fatto che due squadre si affrontano nel tentativo di segnare dei goal»; il nuovo: «Questo è uno dei volti mascherati del calcio, nascosto dall’evidenza di due squadre che si affrontano con l’obiettivo di segnare dei gol». Infatti: palese non lo dice più nessuno, e meno palesi non se ne parla proprio. Ma soprattutto goal resta solo per i puristi: il suo calco gol è parola italiana, un anglismo con grafia adattata e con varianti dialettali (Napoli: u gól; ma suprema la variante romanesca riscontrabile già in «er go’ de Turone», leggendario rammarico per uno scudetto perduto. Torino, Stadio Comunale, 10 maggio 1981, Dino Viola e Liedholm versus Boniperti e il Trap. Azione Conti, Pruzzo, Turone. L’arbitro Bergamo indica il centrocampo, il guardalinee alza la bandierina per annullare. Nasce una bizzosa epopea cittadina con a tema l’ingiustizia e il ladrocinio).
La struttura del volume è rimasta la stessa: i capitoli sono dedicati alle radici tribali (il calcio come caccia, battaglia, status, cerimonia, droga sociale, business, teatro), ai rituali della tribù (regole, stadi, comportamenti scorretti, partita, celebrazione della vittoria), agli eroi (giocare in territorio nemico, stratagemmi, trucchi, esultanze), agli oggetti dal pallone, ai trofei, agli anziani della tribù – dirigenti e allenatori –, ai seguaci, ovvero i tifosi in tutte le forme, smorfie e manie, tatuaggi e autografi, feticci vari, giornalisti al seguito, come cantori; e infine alla lingua della tribù, tra slogan e canti. Un paragrafo è stato soppresso e non sfugge il perché. Il capitolo sugli eroi tribali si chiudeva con alcune pagine dedicate alla vita sociale degli eroi: passatempi e vita familiare, il gioco e il sesso. Già è di effetto epocale vedere come era e come è il paragrafo sul calcio come business. Ora si vede Gullit intervistare Messi sotto lo sguardo divertito di Ibrahimovic e di Cristiano Ronaldo, tutti in elegante abito da cerimonia; e si vede Sergio Ramos sul set dello spot per la Pepsi Cola. Prima si vedevano il Kaiser Beckenbauer in camicia e cravatta a fiori durante la presentazione di un suo libro, come un pioniere in terre altrui, e Kevin Keegan che usciva da una piscina in accappatoio pesante mostrando una bottiglina di dopobarba Brut.
Le pagine soppresse non avrebbero sopportato cambiamenti: la vita sociale degli eroi, legittimata dalle imprese, è ora su un altro palcoscenico. Le antiche didascalie dicevano che «il principale passatempo del calciatore professionista è un altro sport, sempre rilassante e non violento, come il golf, il tennis e lo snooker». Ai biliardi si sono sostituiti i tablet, e la descrizione della mutazione antropologica avrebbe chiesto un altro libro. È ancora vero che «le mogli dei calciatori corrispondono generalmente a un certo tipo di donna: bionda, attraente e molto femminile. Donne che sanno creare per i loro compagni guerrieri un’oasi di pace»; ma proprio il riposo del guerriero è cambiato, e le donne escono direttamente dalla televisione. Nemmeno si sa più se «i calciatori sono spesso eccellenti mariti e padri». Forse il politicamente corretto ha lasciato cadere quelle pagine; di sicuro il tono avrebbe dovuto avere cambiamenti sostanziali per quanto è successo. Tutto è restato come prima dentro il campo, non fuori. Nella vecchia edizione, tra gli svaghi si notava: «gli allenatori non incoraggiano il fumo, ma raramente vi si oppongono, riconoscendone il valore terapeutico». Di Gigi Riva è leggenda che la dose fosse di venti sigarette al giorno, tranne che nel riposo del lunedì, quando la dose era di quaranta. Oggi un telecronista si sente in dovere di dire che Totti mangia solo carni bianche.
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