Cultura

Lo zibaldone che scotta

Lo zibaldone che scottaMartin Heidegger

Novecento Un sentiero di letture intorno ai «Quaderni neri» di Martin Heidegger. Appunti intensi, lacerti di riflessioni, testi confluiti in altre opere. E le frasi antisemite sotto accusa

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 29 giugno 2016

La pubblicazione del primo e da poco anche del secondo dei due tomi dei Quaderni Neri di Heidegger (II-VI, VII-XI, Bompiani) costituisce uno dei momenti di maggior rilievo nelle cronache filosofiche italiane. Avevano preceduto l’uscita del primo volume anticipazioni, articoli e libri sull’argomento. Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri» (Bollati Boringhieri, ora in edizione accresciuta) di Donatella Di Cesare e la raccolta curata da Adriano Fabris, Metafisica e antisemitismo. I Quaderni neri di Heidegger tra filosofia e politica (Edizioni ETS) sono dell’autunno del 2014. Come si vede dai titoli, l’attenzione si è concentrata sull’antisemitismo. Esaminando le migliaia di pagine dei quaderni dalla copertina nera che Heidegger aveva accettato andassero a completare i volumi della sua opera generale, sono state trovate delle frasi (quattordici in tutto) nelle quali compaiono gli ebrei e l’ebraismo. Alcune sono state considerate antisemite e sulla base di questi pochi passaggi si è dato vita a nuove interpretazioni del pensiero di Heidegger.

La traduzione italiana del libro di Peter Trawny, curatore dell’edizione tedesca dei Quaderni, ha ulteriormente rincarato la dose, insistendo sull’antisemitismo nei Quaderni come chiave d’accesso all’opera heideggeriana. Il titolo del suo libro è inequivocabile: Heidegger e il mito della cospirazione ebraica (Bompiani). Per Trawny, Heidegger avrebbe fatto propria l’idea di una cospirazione dell’«ebraismo mondiale» analoga a quella dei falsi Protocolli dei savi di Sion. Per Heidegger, Trawny parla di «antisemitismo onto-storico», cioè dell’ebraismo come momento che impedirebbe all’«essere» di emanciparsi dalla sua riduzione a «ente» senza patria, senza suolo, senza fondamento e perciò «sradicato». Secondo Trawny e, ancora più decisamente secondo Di Cesare – tornata sulla questione con Heidegger&sons. Eredità e futuro di un filosofo (Bollati Boringhieri) – per Heidegger gli ebrei sarebbero l’ingranaggio cruciale della «macchinazione metafisica» che assicurerebbe il mantenimento del dominio nichilistico dell’«ente».

Gli ebrei sarebbero i nemici dell’essere autentico, i campioni del mimetismo, della tecnica disanimata, i «calcolatori». Per Trawny e Di Cesare l’antisemitismo di Heidegger se non può essere semplice adesione agli stereotipi dell’antisemitismo popolare che da secoli caratterizza la cultura europea (non un antisemitismo razziale biologistico come quello del nazismo), non meno gravemente è però un «antisemitismo metafisico». Questa accusa tuttavia, soprattutto per Di Cesare, non vuole mettere sotto teca l’opera del filosofo di Messkirch. Anzi, la filosofa si pone come «erede» seppur «infedele» del pensiero di Heidegger. Per Di Cesare occorre continuare a costruire su di lui, purché la costruzione passi attraverso il riconoscimento dell’appartenenza di Heidegger alla trafila antisemita del pensiero occidentale, con tutto ciò che comporta riguardo la Shoah.

Oltre alle poche righe ritenute antisemite, che altro c’è nelle migliaia di pagine dei Quaderni neri, e che tipo di scrittura sono? Domande queste alle quali i libri menzionati non rispondono se non sbrigativamente per dire che i Quaderni vanno considerati «opera» alla pari, se non addirittura con status ermeneutico superiore, rispetto agli altri libri di Heidegger. Ma che cos’è un’«opera» di scrittura del pensiero per Heidegger? Per quanto possiamo osservare, per Heidegger ogni sua «opera» ha uno status precario. Già Essere e tempo è un’opera «interrotta» per mancanza di un linguaggio emancipato dalla metafisica.

Gli altri testi che Heidegger pubblica sono quelli allestiti per situazioni colloquiali come i corsi universitari, oppure sono elaborazioni più volte modificate di conferenze. Molti scritti autorizzati da Heidegger come «opere» a sé sono di fatto incompleti e postumi, come gli importanti Contributi alla filosofia (dall’evento). Insomma, dire che cosa sia un’«opera» nella scrittura di Heidegger non è facile neanche per le pubblicazioni da lui direttamente autorizzate, figurarsi per i Quaderni che sono un fiume di appunti in lacerti più o meno lunghi, indici di parole notevoli, passaggi confluiti in altri testi, versi poetici. Somigliano a uno Zibaldone. Similmente a quello di Leopardi, nello zibaldone dei Quaderni neri Heidegger da un lato sconta passivamente e dall’altro lato cerca di approfondire propositivamente, come fosse una risorsa-limite, l’in fieri di un pensiero e soprattutto di un linguaggio filosofico che continua a sentirsi inadeguato, provvisorio.

Già in Essere e tempo, ma ancor più quando comincia «il cantiere a cielo aperto» (Brencio) dei Quaderni, la metafisica per Heidegger diventa anche, se non soprattutto, una «macchinazione» del linguaggio che rischia di farci ricadere nella metafisica quando presumiamo di averla «oltrepassato». Diventa difficile allora fare delle attribuzioni nette riguardo chi e che cosa, secondo Heidegger, sarebbero «diabolicamente» metafisici. E ciò a maggior ragione se si considerano le poche frasi estrapolate dagli appunti dei Quaderni. Farne la chiave per comprendere il cuore della metafisica in Heidegger sembra quantomeno imprudente.

In Heidegger molti termini-chiave come tecnica, dispositivo, sradicatezza, erranza, annientamento (termini che Trawny e Di Cesare utilizzano per descrivere la dimensione metafisica che secondo loro avrebbero gli ebrei nei Quaderni) proprio nel laboratorio degli Hefte acquisiscono una dimensione plurivoca, spesso contraddittoria. Dimensione che però è anche dettata dall’esigenza espressiva di mettere in luce che la semplice contrapposizione a questi termini può essere essa medesima una trappola, una «macchinazione».

Ciò si coglie anche negli scritti che il filosofo pubblica in vita. Ad esempio, nella Questione della tecnica, Heidegger scrive che «restiamo prigionieri della tecnica sia che la accettiamo con entusiasmo sia che la neghiamo con veemenza». In Costruire, abitare e pensare Heidegger scrive che «appena l’uomo riflette sulla propria sradicatezza, questa non è più una miseria», ma «l’unico appello che chiama i mortali all’abitare».

Su una maggiore considerazione dei Quaderni nel loro complesso e su una loro contestualizzazione più larga e sfaccettata, si è mosso con accortezza filologica il libro a cura di Francesca Brencio, La pietà del pensiero. Heidegger e i Quaderni Neri (Aguaplano) e ora il volume curato da Friedrich-Wilhelm von Herrmann e Francesco Alfieri, Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri (premessa di Arnulf Heidegger, uno scritto di L. Messinese e appendice di C. Gualdana, Morcelliana, pp. 459, euro 35). Quest’ultimo lavoro offre una vasta e articolata analisi sine glossa di molti passi dei Quaderni neri e, in particolare, di quelli utilizzati dagli interpreti che accusano nuovamente Heidegger di essere un filosofo nazista. Rilevante è anche la sezione con lettere inedite di e a Heidegger, che in molti casi aiutano a contestualizzare meglio la precarietà e estrema ambivalenza degli Hefte. Ma sono gli scritti di Brencio e il libro da lei curato a offrire anche un’interpretazione complessiva della comprensione degli Hefte sia nell’opera di Heidegger che nella specifica questione del suo presunto antisemitismo filosofico.

A tal riguardo, per la studiosa e filosofa italiana le frasi sugli ebrei nei Quaderni non possono dare all’ebraismo in Heidegger un carattere peculiare, una dimensione-chiave per comprendere la storia della metafisica occidentale. Semmai per Brencio, l’ebraismo in Heidegger va considerato come un momento contingente inseparabile dalla tradizione giudaico-cristiana biblica e dalla ripetuta critica al cristianesimo e in particolar modo al cattolicesimo. Da qui il filosofo manterrà sempre interesse per la teologia, soprattutto per quelle forme teologiche dissimulate che nutrono la «macchinazione» trasformatrice del domandare del pensiero in sapere operazionale, l’ambiente e gli umani in un cumulo di risorse e «fabbrica di cadaveri».

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