A metà dicembre è arrivato il lasciapassare di Regione Lombardia, che ha scelto di immolare altri 44 ettari di brughiera agli interessi dello sviluppo dell’attività cargo dell’aeroporto di Milano Malpensa, a fronte – spiega Legambiente Lombardia – «di insignificanti compensazioni che di ambientale hanno ben poco».

La Giunta guidata da Fontana, vicina alla scadenza del proprio mandato, ha infatti approvato il proprio parere positivo sulla valutazione di impatto ambientale del progetto «Aeroporto di Milano Malpensa – Masterplan 2035». Era un passaggio che il mondo ecologista attendeva da tempo, per conoscere le sorti di un’area dall’elevato valore ecologico. Secondo l’assessore all’Ambiente e Clima, Raffaele Cattaneo, la «proposta è ambientalmente compatibile con prescrizioni e interventi di mitigazione», ma Legambiente respinge questa lettura. La soluzione percorribile per il potenziamento dello scalo che riceve oltre il 70% delle merci che arrivano in Italia per via aerea è ricaduta infatti su una superficie esterna all’attuale perimetro aeroportuale, posta a sud del tracciato della SP14, in comune di Lonate Pozzolo. Un’area – lo riconosce anche Regione Lombardia – ricompresa nel Parco Regionale del Ticino, a pochi chilometri di distanza dai Siti della Rete Natura 2000 ricompresi nel Parco e all’interno dell’habitat 4030.

Per questo Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, è sconcertata dalle affermazioni di Cattaneo: «Come si fa a dire una cosa del genere? Siamo di fronte al paradosso: da un lato Regione fa grandi annunci sulla Strategia regionale per la biodiversità, e dall’altro si concede a Sea di distruggere 44 ettari di un ambiente naturale unico. Un’area di grande valore per la biodiversità, unica nel Nord Italia e insostituibile per il suo significato ecologico, è considerata da Regione non sufficientemente importante rispetto alla valenza infrastrutturale di un’area cargo che invece potrebbe trovare altre collocazioni all’interno di Milano Malpensa, semplicemente modificando il progetto. Dobbiamo constatare che nessuno in Regione ha intenzione di muovere un dito per salvare la biodiversità del parco del Ticino».

Legambiente se la prende anche con l’accordo firmato con i sindaci del territorio che apre a presunte compensazioni che di ambientale non hanno nulla, trattandosi soprattutto di opere viabilistiche per dare un contentino ai Comuni, opere peraltro già decise e che quindi avrebbero dovuto essere già state realizzate. La protesta degli ambientalisti nei mesi scorsi si è concentrata sul Comune di Milano, che controlla con il 54,81% delle azioni la maggioranza di Sea, la società che gestisce l’aeroporto di Malpensa. Gli altri azionisti rilevanti, sono F2i Sgr e 2i Aeroporti: la prima è una società di gestione del risparmio che raccoglie 19 soci, tra le principali fondazioni italiane di origine bancaria, primari istituti di credito, istituzioni pubbliche, Casse di previdenza e fondi pensione, fondi sovrani e asset manager.

Malpensa non è l’unico territorio su cui la pressione dell’incredibile aumento del traffico merci, che è raddoppiato dopo il 2019. Un altro è Parma, dove il piccolo aeroporto cittadino (meno di 100 mila passeggeri) è costantemente in rosso: la società di gestione, i cui principali azionisti sono gli industriali del territorio, vorrebbero un allungamento della pista fino a 2.880 metri «utilizzabile per aerei con apertura alare fino a 65 metri (ora fino a 35 metri), con la trasformazione dello scalo in Hub Cargo, come spiega il comitato NoCargo (nocargoparma.net) che a ottobre ha portato in piazza qualche centinaio di persone. Sogeap vorrebbe avviare le attività cargo entro il 2024. Enac, però, nel nuovo Piano nazionale aeroporti non ha incluso quello di Parma tra gli «scali air cargo di riferimento». Il sogno degli imprenditori emiliani potrebbe così svanire. Ed è una fortuna: «Se chiude l’aeroporto, dopo aver perso la stazione Mediopadana, cosa potrà offrire il territorio ai nostri figli in termini di opportunità e sviluppo?» ha detto il presidente della Sogeap, intervenendo in consiglio comunale. Mostrando una visione ferma agli anni ’80 che non tiene conto degli obiettivi di riduzione delle emissioni.