Lo stupro e il sequestro di Franca Rame nel 1973
Storia Commissionato ai fascisti dai carabinieri del generale Palumbo. I festeggiamenti in caserma dopo l’azione. Mai interrogato un mercenario di nome Muller
Storia Commissionato ai fascisti dai carabinieri del generale Palumbo. I festeggiamenti in caserma dopo l’azione. Mai interrogato un mercenario di nome Muller
Il sequestro si consumò il 9 marzo 1973. Franca Rame, all’epoca molto impegnata insieme al marito, Dario Fo, non solo nell’attività teatrale, ma anche attraverso Soccorso rosso in favore dei carcerati e in particolare dei detenuti di estrema sinistra, venne quel giorno, in Via Nirone a Milano, fatta salire a forza su un furgone, sottoposta a violenza carnale e successivamente abbandonata in un parco. Gli autori del gravissimo episodio rimasero per moltissimi anni sconosciuti.
Una prima indicazione sui responsabili materiali giunse solo nel 1987. A fornirla fu Angelo Izzo, uno degli autori del “massacro del Circeo” (l’uccisione tra il 29 ed il 30 settembre1975 di Rosaria Lopez di 19 anni e lo stupro di Donatella Colasanti di 17 anni ad opera di tre fascisti), che nel corso di alcune dichiarazioni rese al Sostituto procuratore della Repubblica di Milano, Maria Luisa Dameno, confessò di aver appreso in carcere che il principale responsabile dell’aggressione e dello stupro era stato Angelo Angeli e che l’azione era stata «suggerita» da alcuni ufficiali dei carabinieri della Divisione Pastrengo.
Nell’ambito dell’istruttoria negli anni Novanta condotta dal giudice Guido Salvini sulle attività eversive dei gruppi di estrema destra, che porterà all’ultimo processo sulla strage di piazza Fontana, emersero altri particolari e altre conferme. In particolare fu Biagio Pitarresi, figura di rilievo della destra milanese negli anni Settanta, all’epoca vicino al gruppo La Fenice prima di transitare nei ranghi della malavita comune, a raccontare in un interrogatorio del maggio 1995 che l’azione in un primo momento fu proposta proprio a lui (direttamente da un ufficiale dell’Arma, tale capitano Rossi), ma che egli si era rifiutato ed era quindi subentrato Angelo Angeli, il quale aveva materialmente agito con altri camerati, fra cui un certo Muller e un certo Patrizio.
Le indagini non approdarono a nulla, anche se su Milano in effetti gravitava tale Robert Muller, mai ascoltato dalla magistratura, attivo negli ambienti della destra milanese (l’unico con questo nome), per molti anni mercenario, prima nel Congo belga, nel 1965, poi, nel 1968, nello Yemen.
Questa ricostruzione sulle responsabilità dei carabinieri fu confermata dal generale Bozzo, all’epoca dei fatti tenente di stanza alla caserma Lamarmora, che testimoniò il fatto che in caserma si era brindato e che il generale Palumbo, il comandante dell’Italia del Nord dei carabinieri, parlando in ufficio con il suo segretario personale, all’arrivo della notizia, esclamasse «Finalmente!».
«Anche il probabile coinvolgimento quali suggeritori dell’azione di alcuni ufficiali della Divisione Pastrengo», scrisse nel febbraio 1988 il giudice istruttore Guido Salvini, «alla luce delle complessive emergenze istruttorie di questi ultimi anni, non deve certo stupire. Si ricordi che […] il Comando della Divisione Pastrengo era stato pesantemente coinvolto, nella prima metà degli anni Settanta, in attività di collusione con strutture eversive e di depistaggio delle indagini in corso».
Giovanbattista Palumbo, già aderente alla Rsi, aveva raccolto ancor prima attorno a sé i principali collaboratori del generale Giovanni De Lorenzo all’epoca del Sifar, come il colonnello Dino Mingarelli, uno degli estensori nell’estate del 1964 del cosiddetto “Piano Solo”, volto a sovvertire la Repubblica. Alla fine risultò essere iscritto alla P2, come il capo di stato maggiore dell’Arma Franco Picchiotti.
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