Lo «strano» racconto del femminile nella serialità della Rai
Televisione «Il commissario Ricciardi» e «Mina Settembre», i due successi della stagione, ispirati ai libri di Maurizio de Giovanni
Televisione «Il commissario Ricciardi» e «Mina Settembre», i due successi della stagione, ispirati ai libri di Maurizio de Giovanni
È il momento di Maurizio de Giovanni, almeno in Rai. Negli ultimi mesi l’opera dello scrittore napoletano ha dato origine a due delle serie di massimo successo del servizio pubblico, Mina Settembre e Il commissario Ricciardi, la prima che si è conclusa il 15 febbraio con punte di 6.546.000 spettatori e il 26.4% di share, la seconda ancora in corso (l’ultima puntata col 23,88% di share). E di entrambe è prevista la seconda stagione.
Non è la prima volta per de Giovanni – c’ è già stata I bastardi di Pizzofalcone, due stagioni, una probabile terza, protagonista Alessandro Gassman – e nei due titoli in questione c’è un investimento produttivo, una cura per gli attori, le ambientazioni, la «storia» che le rendono imparagonabili a certe robe tremende ma di grande ascolto – un esempio? La suora e le sue «ragazze» in convento di Che dio ci aiuti, arrivata alla sesta stagione, un concentrato nemmeno troppo subliminale di retorica pro-famiglia, antiabortista e quant’altro – tipo Family Day (produce Lux Vide con Rai Fiction) – in una confezione imbarazzante.
SPECIE per Ricciardi poi, che è in costume, negli anni del fascismo prima della guerra, la regia affidata a Alessandro D’Alatri lavora sui dettagli, con ambizione e ammiccamenti – viene in mente Il conformista bertolucciano, pure se l’eroe di de Giovanni – autore del soggetto insieme a Salvatore Basile e Viola Rispoli – è all’opposto del personaggio incarnato da Trintignant. Nobile tormentato dalla capacità di comunicare con gli spettri, Ricciardi, interpretato da Lino Guanciale, ha lasciato le proprietà per dedicarsi al lavoro. Vive solo con la governante, la madre è morta quando era piccolo. È ligio, non si piega alle pressioni dei poteri e di quei superiori che invece si genuflettono al regime, e con «questi fantasmi» meno allegri di quelli eduardiani, visto che sono dei morti ammazzati, ci parla.
Già perché siamo a Napoli, qui come in Mina Settembre, ambientata invece oggi – con la regia di Tiziana Aristarco, soggetto Di Giovanni, Doriana Leondeff, Marco Videtta. E se Aristarco cerca un’immagine della città al presente non caratterizzata dal solito «presepio» a cui la città è inchiodata – a parte rare e magnifiche intuizioni – D’Alatri nel retrò di sete e camicie nere lo esalta. Un teatro – o un teatrino? – del resto i casi spesso si consumano intorno a un palcoscenico – di vicoli, prostitute, femminielli, «bassi», fasti, mercati e pastiere.
Ma quello che più stride nell’universo di de Giovanni, è la presenza femminile. Si tratta di misoginia, di stereotipi o è invece la «riduzione» che se ne dà sullo schermo a svuotarlo di una eventuale complessità in nome appunto del luogo comune?
Mina Settembre – con Serena Rossi, brava, e Marina Confalone nel ruolo della madre, sempre irresistibile – è una protagonista femminile, la linea del racconto si concentra su di lei e sulle sue amiche del cuore. Ma cosa le incollano addosso? A parte il fantasma del padre – in questo caso psicanalitico – il grande dilemma nelle confidenze tra ragazze e nei suoi «monologhi» interiori, a cui si dedica quando non cerca di aiutare il resto del mondo è: con chi stare insieme? L’ex marito o il nuovo amante? Mai un gioco di slanci, un po’ di ironia, dei chiaroscuri: davvero le parole tra donne in una narrazione possono essere solo queste?
NEL CASO di Ricciardi c’è il pretesto dell’epoca, gli anni Trenta in Italia, quelli del machismo fascista. Le donne sono le custodi del focolare, le madri, quando varcano la soglia dell’ufficio del marito deve esserci un evento tragico. Ma soprattutto sono sempre le colpevoli: giovani, meno giovani, poco importa. Si muore ammazzati a causa loro o per loro mano. Sono crudeli, incattivite, pronte a tutto per salvare il proprio status. Oppure affascinanti e pericolose. Colpa del patriarcato? Sarà. Difficile capirlo però.
Anche il protagonista non sfugge alla «regola» Di chi si innamora Ricciardi? Della dirimpettaia, sgraziata e goffa, tutta casa e chiesa ma acuta stratega per ottenere ciò che vuole. Prima circuisce la tata – si sa che sempre nelle grazie della madre si deve entrare – e intanto lancia sguardi languidi dalla finestra di fronte. A lei è permesso perché sarà la Moglie e la Madre. L’altra, che lo insegue, giovane donna elegantissima e bella (Serena Iansiti, nel cast ci sono anche Fabrizia Sacchi, Peppe Servillo, Antonio Milo), l’unica presenza femminile che «sconfina» nello spazio pubblico degli uomini – è già perduta. Con lei Ricciardi fa sesso o va a una festa ma mai potrà essere la Moglie. É la legge degli uomini ma più della cifra maschile del mondo di de Giovanni a disturbare sono le figurine: insostenibili, specie oggi.
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