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Lo stop fa discutere i grillini

Lo stop fa discutere i grilliniBeppe Grillo al seggio – lapresse

Comunali Per Grillo non ci sono problemi: gli altri pariti si illudono. Ma Bugani, l'ombra di Casaleggio, dice: abbiamo problemi alle amministrative e dobbiamo rivedere la regola del doppio mandato

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 13 giugno 2017

GIULIANO SANTORO

«Dobbiamo dircelo chiaramente, alle amministrative siamo deboli». Max Bugani di occasioni perse ha qualche esperienza: per due volte è stato candidato a sindaco di Bologna per il Movimento 5 Stelle e in entrambe le occasioni non è arrivato neppure al ballottaggio. Adesso lavora con Davide Casaleggio alla piattaforma Rousseau. Si dice abbia le chiavi telematiche dell’infrastruttura digitale del M5S. Di buon mattino, mentre tutti i grillini rifiutano di commentare la tornata elettorale che ha portato al voto 9 milioni di italiani, si prende la libertà di parlare ai microfoni di Radio Città del Capo. E di cannoneggiare un capo saldo della narrazione del suo partito: «Visto che si avvicinano le elezioni politiche dobbiamo riflettere sulla regola del doppio mandato. Quel vincolo ha fatto da freno a molti».
Bugani si riferisce al congelamento di diverse candidature a consigliere, nella paura di bruciarsi un mandato che potrebbe essere più prestigioso. Cita il caso del sindaco di Mira, comune nel veneziano, Alvise Maniero, che ha deciso di non ricandidarsi e fatto perdere la sua lista. Rinunciare a correre alle elezioni significa avere ancora una cartuccia, una possibilità di arrivare in parlamento. Prima era decaduto il dogma della trasparenza assoluta e delle riunioni in streaming. Poi sono stati aggirati gli impegni in tema di retribuzioni di consiglieri regionali, parlamentari ed eurodeputati. Ora qualcuno vorrebbe la fine della regola dei due mandati elettivi, ultimo pilastro ancora in piedi del grillismo delle origini.

SOLO QUALCHE settimana fa Grillo aveva specificato che quel principio non è in discussione. Le parole di Bugani, che ha incassato la sventola di Parma, dove il suo gran nemico PIzzarotti è andato al ballottaggio surclassando col 34% contro il 3% la lista del M5S, indicano che qualcosa è destinato a cambiare. Chi parla di batosta e fallimento inaspettato sottovaluta un dato di fatto: si sapeva che questo voto amministrativo non sarebbe stato una cavalcata trionfale per il M5S. Eppure, una storia che finora ha conosciuto successi deve trovare il modo di spiegare le battute d’arresto. Affilano le armi quelli che in questi mesi non hanno digerito il protagonismo di Luigi Di Maio e il patto a quattro sulla legge elettorale. «L’obiettivo è vincere la guerra» dice il senatore Nicola Morra, da qualche tempo associato agli «ortodossi». L’ex direttorio Carlo Sibilia augura laconico: «In bocca al lupo a vincitori e vinti. Ci rivediamo alla prossima. Un abbraccio a tutti quelli che ci hanno messo la faccia».

GRILLO NON VUOLE neanche sentire parlare di crisi: «Andiamo avanti per la nostra strada». «Speravo in molti più ballottaggi – ammette Alessandro Di Battista – ma adesso sotto a lavorare». Di Maio coglie il post di Grillo al balzo: «Noi non molliamo mai e anche questa tornata elettorale ha detto che siamo in crescita costante e inesorabile, mentre dall’altra parte assistiamo ad una lenta estinzione di partiti politici in cui non crede più nessuno». In effetti, il M5S prende ancora molti voti in grandi città come Genova (18%), dove ha subito due scissioni e affrontato la figuraccia delle primarie online commissariate. O a Palermo, dove è la prima lista col 16%, in un posto dove lo scandalo delle firme false aveva fatto piazza pulita dei vertici locali, consegnando le chiavi del Movimento cittadino a un ex esponente (peraltro discusso) di Addio Pizzo.

DI DELUSIONE si può parlare davvero per Taranto, dove i partiti tradizionali hanno mostrato un’inattesa capacità di consenso. Dalla città dell’Ilva arriva un segnale di allarme: al contrario di quello che accade di solito il voto disgiunto ha premiato il candidato sindaco a discapito della lista. Così, Francesco Nevoli ha preso il 3 per cento in più rispetto al 9 per cento della lista benedetta dal finora considerato vincente brand pentastellato. Dal dibattito interno ai grilini emerge il timore che la trasversalità del voto per il M5S diventi un limite invece che un valore. La capacità di pescare voti sia da destra che da sinistra è sempre stata il punto forte del partito ammazza-ballottaggi. Ma appena una sinistra civica e sociale, spesso al di fuori dei partiti come a L’Aquila, Padova e Palermo, si organizza, ecco che tutti i punti deboli e le contraddizioni dei grillini appaiono più evidenti (si pensi alla partecipazione o alla selezione dei candidati). Allo stesso modo, quando il centrodestra si ripresenta unito, il M5S non sfonda e i molti spaesati tornano alla loro casa madre, verso berlusconiani e leghisti. Questo secondo competitor è più avvertito dai parlamentari pentastellati che ieri commentavano a taccuini chiusi i risultati. Ecco perché, ad esempio, Di Maio polemizza soprattutto con le liste dietro alle quali si nascondono partiti, che «hanno bisogno di inventarsi nomi e colori diversi pur di accaparrarsi qualche voto».

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