Dopo un silenzio lungo sei anni – intervallato da un Sanremo in piena pandemia e cinque progetti solisti – Lo Stato Sociale si riaffaccia nel panorama musicale con un nuovo album, Stupido Sexy Futuro, dove i «regaz» bolognesi sembrano tornare a quelle origini che avevano contrassegnato i loro primi dischi. «Per arrivare a tutti ci siamo persi per strada» dice il frontman Lodo Guenzi «Abbiamo dovuto ritrovarci, sentire di nuovo la necessità di tornare a riconoscerci. Dobbiamo ricordarci di chi siamo per dire qualcosa di rilevante». Dopo il successo sanremese nel 2018 di Una vita in vacanza infatti, la band ha vissuto anni turbolenti, culminati con una crisi umana e artistica, dove si sono sentiti parte di un meccanismo che fagocita: «Di solito le rivoluzioni portano a un cambiamento di linguaggio ma spesso poi viene codificato e un artista rischia di diventare un’imitazione di se stesso» aggiunge sempre Lodo.

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Lo Stato Sociale: «Portiamo i diritti del lavoro sul palco dell’Ariston»COMPOSTO da 11 tracce che racchiudono le due anime (quella scanzonata e quella politica) che coesistono nella band, Stupido Sexy Futuro è un disco senza peli sulla lingua. E soprattutto senza paura di «vomitare» in musica tutto ciò che pensano. Come nella potente Pompa il debito, un’invettiva electro in odore di Offlaga Disco Pax. «Ho voluto togliermi qualche sassolino dalle scarpe» ci racconta Bebo, «volevamo fare una nuova Mi sono rotto il cazzo ma poi alla fine il brano è diventato un’analisi politica che parla anche di come, a nostro avviso, la stampa oggi sia molto lontana dall’essere ancora il quarto potere».
Lodo Guenzi
Anche le idee giuste sono diventate un orizzonte all’interno del quale convincere le persone a spendere
Nel finale infatti vengono citati una serie di politici, imprenditori ma anche alcuni editori. «Il pezzo è basato sul potere economico» conclude il discorso Albi, «il potere che sposta anche gli equilibri delle cose più futili. La ricchezza di una certa editoria ti permette di dire cose, di cambiare la percezione culturale quando però non stai parlando veramente dei problemi alla base e così tutto diventa solo un fenomeno di costume». Riflessioni ad ampio raggio che si riflettono anche in altre canzoni, come Anche i ricchi muoiono e Ops l’ho detto.

«NEL DISCO parliamo anche di quella borghesia semi-colta che orienta i consumi culturali» dice Lodo «per carità, magari combattono battaglie idealmente giuste e inclusive ma in maniera molto liberale. Si occupano solo della parte ricca e tutelata di quelle minoranze e questo cosa produce? Anche le idee giuste sono diventate un orizzonte all’interno del quale convincere le persone a spendere. E questi concetti li abbiamo argomentati, da un punto di vista di liriche, nella maniera più inattaccabile perché lo sfogo fine a se stesso non basta più. Del resto, come diceva Mark Fisher, è più facile immaginare la fine del mondo che quella del capitalismo».