French Kiss. È lo slogan di Cannes 66, che nella sua selezione ha abbracciato il cinema nazionale: sei film in concorso, moltissimi sparsi nelle sezioni parallele, e altrettanti se non targati Francia con una altissima percentuale di supporto locale. Sembra che il festival voglia fare quadrato intorno al cinema made-in France quasi a rispondere alle polemiche che ne hanno scosso la sicura e virtuosa esistenza sin dall’inizio dell’anno, svelandone una fragilità assai comune con la nostra almeno nei temi di discussione.
Gli attori francesi costano troppo ha tuonato a inizio anno il patron di Wild Bunch, Vincent Maraval. Vero? Falso? È stato solo l’inizio di un botta&risposta cattivo e infinito. Adesso, mentre il presidente francese Hollande, il cui ascendente sembra tra i francesi sempre più scarso, annuncia che si sta impegnando per combattere la crisi economica, il suo governo ha stilato una convenzione collettiva per il cinema che sarà in vigore dal prossimo luglio. Con la quale è stato stabilito che i tecnici del cinema devono essere pagati alla tariffa sindacale per tutti i film, anche per quelli con un piccolo budget. Su pressione dei produttori il testo è stato rivisto, troppo poco secondo alcuni, troppo secondo altri. Di fatto i cineasti indipendenti sostengono che non riusciranno più a girare i loro film e che questa decisione va tutta a vantaggio delle grosse società.
Eppure la Croisette è piena di cinema nazionale «indipendente» e non blockbuster ala Asterix. «Non mi preoccupo troppo di questa legge, i miei riferimenti sono registi come Truffaut o Rohmer, da loro ho imparato che il modo migliore per mantenere la propria indipendenza è rimanere nello standard delle propria logica d’autore» ha dichiarato sull’argomento François Ozon, in gara oggi con Jeune et Jolie. E allora sta bene o sta male questo cinema francese? A dispetto, appunto, della celebrazione festivaliera, che sembra voler minimizzare, lo stato appare incerto, e sempre più lontano da quella paradisiaca felicità che faceva della Francia il paradiso della cinefilia.
La scelta del Festival potrebbe essere anche un ammonimento: attenzione cioè alle nuove proposte che non rovinino il nostro cinema. Quest’ultima ipotesi sembra essere quella più possibile specie dopo la proposta di rivedere anche il sistema dell’eccezione culturale pensando a «un’eccezione culturale 2». Intanto i registi sulla Croisette come Claire Denis o Serge Bozon hanno firmato una lettera: «Lo schermo più forte dei cineasti» in cui denunciano la marginalizzazione delle loro opere che non hanno il sostegno di campagne pubblicitarie costose e diffuse anche nelle multisala. Il tappeto rosso serve a poco anche qui?