Lo stato di diritto nel labirinto di leggi che non ti lasciano più uscire
Pandemia e stato di diritto L’associazione delle compagnie aeree, la Iata, per l’Italia non cita i parenti, e le regole degli stati sono indecifrabili. E si finisce intrappolati tra le leggi
Pandemia e stato di diritto L’associazione delle compagnie aeree, la Iata, per l’Italia non cita i parenti, e le regole degli stati sono indecifrabili. E si finisce intrappolati tra le leggi
È finito lo stato di diritto, questa è ormai un’evidenza planetaria. Aggiornato all’epoca pandemica, l’uomo di campagna di cui scrive Kafka in Davanti alla legge non è uno solo e non è necessariamente un uomo di campagna: sono migliaia di expats che tentano di ritornare a casa per l’estate o per sempre, senza sapere se ce la faranno, se sarà loro permesso il rimpatrio.
E il guardiano non è uno e non offre una sedia per aspettare, ma sono decine e stanno alle dogane, ai check in degli aeroporti, nelle ambasciate, nei consolati, rispondono ai call center sregolati dai fusi orari o compilano i Faq di siti internet più o meno ufficiali, compulsati febbrilmente da ogni parte del mondo. Chiunque può rimandare indietro, vanificare il rientro. Perché anche la legge non è una sola, e dunque ciascuno dei guardiani può dire “Adesso no”.
“L’uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà”, scrive Kafka, “la legge, nel suo pensiero dovrebbe esser sempre accessibile a tutti”. Per questo gli uomini di campagna che siamo noi sparsi per il globo, hanno borse di piene di documenti, di decreti stampati e fascicolati in lingue diverse. Quelle stesse borse che all’andata contenevano, nel più trito degli stereotipi, olio e parmigiano reggiano, ora sono gonfie di parole stampate, chili di carta che si contraddicono tra loro, che dicono che ciò che è valido per l’Europa non necessariamente lo è per l’Italia o per la Francia, ciò che è valido ad andare non lo è per forza anche a tornare.
I I In Italia forse si arriva, ma si potrà mai tornare qui in America? “Diverse volte tenta di essere lasciato entrare, e stanca il guardiano con le sue preghiere”, scrive Kafka. In epoca digitale e di distanziamento sociale, l’expat scarica app, partecipa a forum online, si mette in contatto con gli altri come lui o come lei in attesa da qualche parte sopra il pianeta.
E dunque condivide link, rabbia e speranze; quest’ultima tra tutte la più feroce. Bisogna provare a passare da Zurigo, si scrivono le donne e gli uomini di campagna davanti alla legge. “La soluzione è la Francia”. “Solo voli diretti, mai fare scali”. “Meglio due voli distinti, il Canada prima, poi diretti a Milano”. “Meglio compagnie di bandiera, gli italiani non lasceranno mai a terra nessuno se si presenta con in braccio un bambino”.
Stanno – stiamo – lì sfiniti ancora prima di provare, azzeccagarbugli di mille codici di legge che si azzuffano in borsa, confusi dal fumo negli occhi di ciò che distingue legge da accordo da decreto. “Meglio se sei residente in Italia”. “Ma meglio per entrare o per tornare negli Stati Uniti?”. “I parenti dei cittadini europei hanno libero accesso in Europa”. “Sì, ma in Europa o in Italia?”. “In Europa e in Italia, poi l’Italia è il paese delle famiglie!”. “L’associazione delle compagnie aeree, la Iata, per l’Italia non nomina i parenti, e hanno disposizioni da parte degli stati, quindi?”. Qualsiasi guardiano di una della porte della legge, può dire “Adesso no”.
Così le donne e gli uomini di campagna lasciano fuori vestiti e souvenir e mettono in moto le loro stampanti. Migliaia di stampanti in tutto il mondo, in questo istante, stanno imprimendo nero su bianco la fine dello stato diritto: stampano referti medici di familiari in fin di vita, emergenze abitative, lettere perentorie di avvocati, convocazioni, articoli di legge su carte intestate dei consolati, richieste di rinnovo di permessi di soggiorno, contratti di affitto, iscrizioni a club privati, patenti nautiche e di guida, atti notarili di compravendita di immobili. Tutto può valere, ma forse no. “Può darsi, dice il guardiano”, guardando distratto le scartoffie, stancamente. L’inchiostro certifica, gli aghi delle stampanti dichiarano, i toner sono il cuore che pompa l’insensatezza che ora, di colpo, vediamo tutta insieme.
L’uomo di campagna “impreca alla propria sfortuna, nei primi anni senza riguardi e a voce alta, poi (…) limitandosi a borbottare tra sé”. È finito lo stato di diritto, è il momento di dirlo e poi ripeterlo e ripeterlo: siamo fuori legge per qualcuna delle leggi. La più internazionale delle emergenze, quella che non conosce confini, che salta di bocca in naso, non ha un accordo internazionale che la disciplini. È il si salvi chi può giuridico mascherato da tutela dei cittadini.
Saremo fuori legge per la legge europea o quella italiana, o americana, o quella europea cambiata nel frattempo. Questo stato kafkiano, gli americani lo chiamano fucked up: è l’irreparabile che l’uomo ha prodotto con le sue stesse mani, che va oltre la ragione, che non ha soluzione, e dunque non ha diritti validi una volta per tutte. E se c’è, una soluzione, è così arduo trovarla che si sventola bandiera bianca, da questa parte dell’oceano, tra i piedi una borsa di documenti che straparlano, ognuno fuori legge a modo suo. Bentornati nello stato di natura.
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