Lo stagno di Contovello ridotto a pozzanghera
Carso Distrutto da una manutenzione straordinaria, tra le proteste dei cittadini
Carso Distrutto da una manutenzione straordinaria, tra le proteste dei cittadini
Le popolazioni slave che nei secoli si sono fermate sul Carso hanno costruito le loro case su un territorio pietroso esposto al sole e al gelido vento di nordest. Case di pietra bianca, muretti a secco per riparare qualche piccola zolla e farne un orto, la testarda volontà di strappare le pietre dalla terra. Con un gruviera come sottosuolo, è difficilissimo che l’acqua in Carso rimanga in superficie, ma ci sono piccole conche dove fondali impermeabili hanno formato pozze d’acqua a cui gli abitanti della zona hanno dato forma con le pietre per renderli vere e proprie vasche che chiamano mlaka (stagno). Costruiti meticolosamente e puliti periodicamente, gli stagni del Carso sono stati fino a pochi anni fa riserve d’acqua, abbeveratoi per il bestiame o, d’inverno, per il ghiaccio da spaccare e vendere poi a Trieste.
CONTOVELLO, AGGRAPPATO in alto e affacciato sul golfo, è fatto di stradine strette tra le case basse, il pozzo e un grande ippocastano vicini alla chiesa e ha il suo stagno che, anche qui, rappresenta il sudore degli avi, la fatica quotidiana per vivere, non solo una presenza casuale regalata da Madre Natura. In realtà era un laghetto alimentato da un torrentello che da vent’anni è sparito a causa di qualche improvvido intervento edilizio. Cambiati i tempi, le acque del Carso sono diventate soltanto meta di qualche passeggiata ma, con vegetazioni diverse e specifiche, restano fondamentali corridoi ecologici. Giunchi, ninfee, violette d’acqua e poi la fauna selvatica che si avvicina per abbeverarsi e anfibi e insetti che lì abitano e si riproducono, rane, tritoni, libellule, pulci d’acqua. A Contovello si arriva in automobile, si gode dell’ombra guardando le rane accovacciate sulle grandi foglie, qualcuno ci butta qualche pesce rosso o una tartaruga che non vuole più in casa. La buona volontà e il lavoro degli abitanti non basta, eppure sono loro che negli anni si mobilitano soprattutto quando periodi di siccità colpiscono quello specchio d’acqua.
PARTE A FINE LUGLIO la manutenzione straordinaria da 60 mila euro organizzata dal Comune di Trieste: «L’intervento porrà rimedio alle carenze idriche che si sono manifestate negli ultimi anni. Inizieremo con il prosciugare una parte del laghetto per poi asportare i fanghi, garantendo nel frattempo la sopravvivenza delle specie animali che ci vivono». L’autobotte pompa l’acqua, il livello dell’acqua si abbassa vistosamente, la gente del posto accorre preoccupata e protesta perché lì si sta facendo un disastro. L’assessore rassicura sulla sopravvivenza di rane e tartarughe che «saranno raccolte e parcheggiate in appositi contenitori alla presenza dei tecnici dell’Ente protezione fauna ittica della Regione», ma si continua a togliere acqua e non arriva nessuno. Alla sera un laghetto di una quarantina di metri di lunghezza e due metri di profondità è ridotto a una pozzanghera con 50 cm di acqua calda.
QUALCUNO DEL PAESE mette i piedi nella melma per raccogliere in contenitori improvvisati una manciata di pesci ancora vivi. Basta un giorno e gli abitanti arrivano in massa, si chiama l’Ente protezione animali che ribadisce il suo disappunto per un intervento realizzato in piena estate e in quel modo e che, a sua volta, chiama la Polizia forestale. Lavori interrotti, le idrovore si allontanano, resta la speranza che il poco rimasto sopravviva in attesa di un ripristino tolto all’inadeguatezza di chi lo ha pensato stavolta. Quel che si vede ora sono poche rane spaesate e qualche pesce che salta disperato nel fango.
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