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Lo sport professionistico ai tempi del cambiamento climatico

Lo sport professionistico ai tempi del cambiamento climaticoIl Green Rovers Football Club

Sport A rischio la sostenibilità degli impianti e la possibilità di continuare a praticare alcuni sport

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 7 marzo 2020

Il surriscaldamento globale, lo scioglimento delle neve, dei ghiacciai. I cambiamenti climatici stanno andando a incidere pesantemente sullo sport mondiale, che da qualche tempo a questa parte prova a prendere delle contromisure. Ancora davanti agli occhi i frame degli incendi in Australia, a gennaio, pochi giorni prima del via agli Australian Open, il primo torneo del Grand Slam nella stagione tennistica, con gli atleti che hanno temuto per la loro salute per la cattiva qualità dell’aria. E mica solo il tennis deve scendere a patti con il cambiamento climatico, ma anche calcio, golf, football, baseball.

È partita la corsa alla riconversione ambientale, con un occhio alle emissioni e all’utilizzo di materiale plastico. Forse troppo tardi, il mood ora è inquinare meno, soprattutto in aree da inondazioni, tempeste estreme, calore eccessivo e il fumo provocato dagli incendi. «Negli ultimi tre anni a settembre abbiamo avuto problemi climatici, con minacce di uragani» ha spiegato a Cnbc Tom Garfinkel, il general manager dei Miami Dolphins, una delle squadre più famose del football americano, nella National Football League. In Florida l’industria dello sport contribuisce all’economia statale con 57,4 miliardi di dollari e 580 mila posti di lavoro, secondo un sondaggio della Florida Sport Foundation, con dieci squadre professionistiche tra le leghe principali, 26 di leghe minori e 60 programmi sportivi universitari.

Nello stadio dei Dolphins, l’Hard Rock Stadium, che ha ospitato qualche settimana fa il Superbowl, la finale del campionato nazionale di football, ovvero il programma più visto dagli americani, è stato eliminato per il 99,4% il consumo di plastica. Bicchieri, piattini, posate, circa 2,8 milioni di pezzi monouso. Una goccia nel mare, certo: ci sarebbero circa otto miliardi di tonnellate di rifiuti in plastica negli oceani, secondo le Nazioni Unite, con una tendenza che potrebbe portare gli stessi oceani a contenere più plastica che pesci, entro il 2050. Ma la politica sostenibile è ormai un passaggio obbligato: l’Hard Rock Stadium è stato oggetto di un restyling da 500 milioni di dollari per i danni subiti dall’uragano Irma, tre anni fa, che ha provocato disastri anche in altri impianti della Florida. L’America Airlines Arena, palazzetto che ospita le partite dei Miami Heat (Nba) entro qualche anno potrebbe finire sott’acqua.

Ma ovviamente il cambiamento climatico non tocca solo la Florida, anzi. In ogni angolo del mondo è arrivato il verbo di Greta Thunberg che tanto dà fastidio a Donald Trump, anche se pure il baseball, uno degli sport preferiti del presidente degli Stati Uniti, sta investendo in America per ridurre le emissioni e il consumo di plastica nei ballpark, come sono chiamati gli stadi per le partite con mazza e berretti. Dall’alto lato dell’Atlantico, nel calcio europeo per esempio si è impegnata la Liga, il campionato spagnolo, con le partite tra maggio e settembre programmate mai prima delle 19,30, per evitare agli atleti i problemi con le alte temperature, dovute al surriscaldamento globale.

E ancora più verde è la Bundesliga, il torneo tedesco, con alcuni club che hanno adottato politiche antiinquinamento: dalla sezione fotovoltaica nello stadio del Werder Brema con 200 mila celle solari, energia sufficiente per 300 appartamenti sino allo stadio dell’Augsburg, la prima arena al carbonio neutra, al pozzo in loco del Borussia Moenchengladbach che supporta l’approvvigionamento idrico. Sino all’Hoffenheim, che pianterà alberi in una foresta ugandese per compensare le emissioni di carbonio nel suo stadio. Mentre in Inghilterra si è reso famoso il Forest Green Rovers, piccolo club che offre menu vegano allo stadio per i tifosi, impianto in legno, emissioni zero con pannelli solari sul tetto e prato rigorosamente naturale. In attesa di segnali dal calcio italiano (solo il Cagliari in Serie A lo scorso anno ha bandito l’uso della plastica nel suo stadio) e in generale dal movimento sportivo del nostro Paese, su pesano come macigni la carenza di impianti di proprietà delle società.

Sarà bene darsi una mossa, dando seguito all’UN Sports for Climate Action, accordo sottoscritto a dicembre 2018, durante il COP24, da 80 organizzazioni sportive, incluse 14 federazioni internazionali sportive e soprattutto le commissioni organizzative delle prossime edizioni dei Giochi olimpici, da Tokyo 2020 a Parigi 2024, per un impegno sul clima da parte dello sport mondiale, tra consumo responsabile e riduzione dell’impatto ambientale, il pilastro dell’Agenda 2020 voluta dalle Nazioni Unite. Perché il cambiamento climatico mette in pericolo addirittura l’esistenza di alcuni sport, come lo sci alpino e nordico, a rischio estinzione per lo scioglimento dei ghiacciai dovuto al surriscaldamento globale. Oppure come il golf. Un recente studio pubblicato nel Regno Unito, How climate change is impacting sports in the UK della Climate Coalition, realizzato con il Priestley International Center for Climate dell’Università di Leeds ha spiegato come inondazioni, alluvioni, tempeste stiano minacciando il futuro dei campi di gold, i cosiddetti green. Con il Mare del Nord che avanza verso i campi più famosi, lo stesso rischio che corrono anche i campi verdi scozzesi, a rischio innalzamento del mare. Uno scenario che potrebbe prendere corpo entro il 2100.

E anche il cricket, molto popolare in Inghilterra e praticamente sconosciuto in Italia (dove è ancora uno sport per immigrati dal subcontinente indiano) è influenzato dal cambiamento climatico: dal 2000 ad oggi il 27% degli England’s home One Day Internationals ha subito riduzioni a causa di interruzioni dovute alla pioggia, e dal 2011 le partite funestate da acquazzoni sono raddoppiate. Il maltempo è costato all’England and Wales Cricket Board un milione di sterline in sovvenzioni di emergenza nel 2016 e 1,6 milioni nel 2017. Una tendenza che ha costretto la federazione del Cricket a mettere in bilancio 2,5 milioni di sterline all’anno per aiutare i club dilettantistici a continuare a giocare.

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