Cultura

Lo spazio visivo della scrittura

Lo spazio visivo della scritturaUn’opera di Giovanni Bosco

ART BRUT «Parole in cammino», la mostra presso la Galleria sic12 di Roma, visitabile fino al prossimo 20 novembre. Esplorando la collezione Giacosa-Ferraiuolo, prende forma l’erranza, sia in senso fisico che mentale. Profeta Gentileza «graffia» lettere sui piloni di una autostrada vicina a Rio de Janeiro, testimoniando un evento tragico: le incide per risanare il luogo colpito dal male

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 29 giugno 2022

Dopo l’esplorazione del tema del doppio, la seconda stazione delle tre programmate presso la Galleria sic12 di Roma dedicata all’Art Brut della collezione Giacosa-Ferraiuolo, è quella della scrittura associata all’erranza, intesa sia in senso fisico che mentale. Parole in cammino (visitabile fino al 20 novembre) è figlia di un’altra mostra che si tenne a Genova nel 2010, sempre curata da Gustavo Giacosa. È dunque frutto di altre erranze, di luoghi in cui hanno vissuto i collezionisti prima di approdare nella capitale. I due, artisti in diversi campi, hanno coniugato la loro creatività al collezionismo di Art Brut e alla galleria, atto coraggioso in una città che non mostra aperture a queste iniziative né in spazi privati né pubblici, a differenza di altre città europee dove si assiste a una ben diversa sinergia.

ANCHE IN OCCASIONE di questa seconda mostra è stato attivato un fitto programma di appuntamenti che spaziano dalla musica jazz a incontri con importanti studiosi dell’arte degli irregolari come Michel Thévoz (primo direttore della Collection de l’Art Brut di Losanna) e Sarah Lombardi (attuale direttrice).
La dimensione visiva della scrittura che esce dai confini dati dagli spazi canonici e dalle esigenze di comunicazione verbale a cui è sempre associata, viene documentata in questa mostra prima di tutto attraverso i reportage fotografici della prima sala che testimoniano la febbrile attività di artisti outsider che intervengono in spazi pubblici di alcune città in giro per il mondo.

Sono tracce colorate o in bianco e nero, eseguite con carboncini o pittura murale o incidendo le superfici verticali a disposizione. I messaggi sono tutti di senso preciso, a volte creati con giochi grafici che partono da segni trouvés.
Uno degli aspetti che li accomuna è quello mistico: il loro intervento è da leggersi come purificazione dei luoghi. Come nell’esempio straordinario di Melina Riccio che lascia tracce sui muri di varie città italiane.

PARTENDO DA MACCHIE, screpolature o muffe Melina scrive e disegna testi finalizzati alla salvezza del pianeta, firmando sempre con un cuore posto sopra la R di Riccio in cui inserisce la parola dio o tre cuoricini. Le sue scritture hanno un andamento glossolalico così come quelle cucite sull’abito «da cerimonia» presente in mostra, ricavato da stoffe rigorosamente trovate per caso. Invece le parole graffite a fine anni sessanta da Profeta Gentileza sui piloni di una autostrada vicina a Rio de Janeiro sono perfette nella loro calibratura e linearità anche se di difficile decrittazione. Separate tra loro da piccoli segni decorativi, testimoniano un evento tragico e sono state incise per risanare il luogo colpito dal male. I graffiti brut hanno spesso colori che riportano a quelli nazionali.

NEL SUO NITORE minimalista la seconda sala accoglie opere originali di tanti autori tracciate soprattutto su carta cartone o stoffa, materiali che rimandano all’orizzontalità di un tavolo da lavoro. Le tecniche usate – pennarelli, matite, biro o filo cucito – ne trasmettono l’urgenza espressiva, più concitata o più meditata.
L’immersione in queste scritture mette in gioco la nostra capacità di accoglierle nel superamento di quello che Michel Thévoz ha definito «patologia dell’arte» ovvero il rapporto distorto che abbiamo con la scrittura e il disegno. Queste opere, nel loro andamento rizomatico, impulsivo e non normato dalla dittatura della leggibilità, secondo lo studioso, ci aprono a uno stadio che tutti noi abbiamo attraversato, originario e profondo, poi abbandonato in nome della comunicazione del logos.

L’ANDAMENTO delle scritture tracciate da artisti accomunati dalla patologia, varia tantissimo. Nelle loro opere si avverte una sorta di horror vacui, accumulo di segni costretti in uno spazio diventato confine della propria libertà. Thévoz chiama patologie du cadre questa pulsione a rompere lo schema che con violenza condiziona ogni nostro agire attraverso la rivincita del gesto. Esemplare è la lunga lettera scritta da Dottor B. al presidente della Repubblica Leone per perorare una sua causa: la prima parte ha un andamento controllato, poi piano piano prevale la concitazione che trasforma i segni in un intrico illeggibile, svelando l’indissolubile e innata fusione tra la profondità delle proprie pulsioni e la loro espressione.

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