L’istituto «Lo Spazio Psicoanalitico» festeggia cinquant’anni dalla fondazione con un convegno di due giorni, oggi e domani 28 gennaio, nella Protomoteca del Campidoglio a Roma. È stato fondato nel 1973 da Paolo Perrotti in collaborazione con Cesare Musatti e Adriano Ossicini. Paolo Perrotti è il figlio di uno dei pionieri della psicoanalisi in Italia, Nicola Perrotti, nella cui vita non c’è stata differenza tra il combattere per la diffusione della psicoanalisi e la lotta da antifascista nel Partito Socialista durante gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo.
Questa originaria motivazione è tornata nella storia dello «Spazio psicoanalitico» dove la psicoanalisi non è stata considerata solo come la scienza e la terapia dell’inconscio, con il massimo di professionalità e di scuola formativa, ma anche come una componente indispensabile della cultura contemporanea, nel suo versante critico di pensiero antropologico e politico-sociale.

ATTRAVERSO L’ATTIVITÀ instancabile di Paolo Perrotti e del gruppo di giovani psicoanalisti riuniti attorno alla sua persona, a partire dalla tornata epocale del Sessantotto «Lo Spazio» ha sviluppato l’idea di una psicoanalisi come orizzonte di una liberazione congiunta sia dalle patologie individuali che dall’autoritarismo delle istituzioni e della vita collettiva. In particolare argomentando con forza quanto le teorie e le cliniche psicoanalitiche abbiano allargato e insieme complicato le culture e le definizioni moderne di ciò che sia «libertà».
Perché accanto alla definizione liberale di libertà come «libertà di», quale autonomia da ogni costrizione esterna, e accanto alla definizione social/comunista di libertà come «libertà da», quale affrancamento eguale per tutti dai bisogni primari della vita, la psicoanalisi ha introdotto una terza definizione di libertà, quale possibilità di «accedere al proprio mondo emozionale e interiore con il grado minimo di autorepressione e di autocensura».

«Lo Spazio» ha fin dall’origine accolto quel principio dell’antiautoritarismo e della differenziazione del Sé attraverso pratiche di comunità, che ha costituito il valore più originale e non violento (ancor prima del femminismo) della cultura del Sessantotto. Anche perché è nel fondamento della psicoanalisi la tesi che questa nuova definizione di libertà, che potremmo definire «libertà verticale», quale dialogo senza divieti tra mente e proprio corpo emozionale implica, insieme al suo forte valore d’individuazione, un’imprescindibile relazione di socialità con l’altro da Sé. Nel senso che nessuno è in grado di confrontarsi con l’urgenza e l’invasività del proprio mondo pulsionale-affettivo, se non a patto di essere riconosciuti e contenuti da una mente terza che possa restituire loro, mitigandolo e componendolo in equilibrio, un sentire emozionale meno estraniante e conflittuale.

A DIFFERENZA di una psicoanalisi riletta alla luce della scissura infinita tra Essere ed Esserci, l’attività teorica e clinica, culturale e di training dello «Spazio Psicoanalitico» ha invece continuato ad elaborare lo studio di una psicoanalisi profondamente laica, più legata ai maestri della psicoanalisi inglese come Klein, Winnicot, Bion e perciò attenta a scandagliare i «mille modi», molteplici ma sempre determinati, «in cui si dice l’altro». Il rifiuto di coltivare il monismo dell’Altro, di farsi cura e di essere storicamente sensibile di fronte alle nuove alterazioni e alle nuove patologie psichiche può permettere di affrontare l’era delle catastrofi ecologica, geo-politica e mentale, inaugurata dal capitalismo globale, che si sta generando e diffondendo a livello di massa.