Lo sguardo profondo della Satira
Fumetti Intervista a Paolo Della Bella cofondatore della rivista Ca Balà e autore del volume antologico "Uno sguardo profondo. Viaggio nelloHumour e nella Satira" (Cadmo)
Fumetti Intervista a Paolo Della Bella cofondatore della rivista Ca Balà e autore del volume antologico "Uno sguardo profondo. Viaggio nelloHumour e nella Satira" (Cadmo)
Il tomo pesante e voluminoso si presenta come una prima pietra di un edificio imponente. La copertina reca una mappa, come quelle della metropolitana di Parigi o di Londra, dove al posto delle fermate ci sono nomi e testate fondamentali nella storia della satira e dello humour della seconda metà del ‘900. Sulle linee diversamente colorate e fitte di riferimenti incontriamo L’Asino, Dario Fo, Punch, Charlie, Quino mentre un altro percorso passa per Walter Benjamin, Galantara, Umberto Eco, Ralph Steadman, Wolinski. Alla base però c’è il 1966 con la serigrafia di Compiobbi (Firenze) e l’anno dopo si parte con il Gruppo Stanza composto da Berlinghiero Buonarroti, Graziano Braschi e Paolo Della Bella per giungere al cuore di questa intricata rete, ovvero Ca Balà. E’ la sintesi grafica dell’ampio lavoro antologico e storico di Della Bella con Laura Monaldi e Claudia Paterna per il libro Uno sguardo profondo. Viaggio nello Humour e nella Satira (Cadmo, 440 pp, cartonato, 25×32, €50), che partendo dalla realtà editoriale e culturale di cui è stato co-fondatore si estende alle riviste e agli autori più significativi in Europa e oltreoceano. In effetti il titolo del libro era anche il motto della rivista che si proponeva di cercare più in dettaglio sia gli argomenti e i contenuti tenuti nascosti da una società governata da pensieri e politiche conformiste, sia le forme umoristiche e gli stili grafici più innovativi e stimolanti in fermento nel mondo. In questo Ca Balà è stata officina artigiana temeraria in proprio e, al contempo, fulcro di scoperta e divulgazione di quanto di meglio arrivava dall’estero all’insegna del sorriso, ma anche del ghigno e dello sberleffo. L’altra cifra infatti era l’irriverenza, la vis anticlericale, la denuncia politica e la critica sociale a colpi di segni e battute. Anche per questo l’omino disegnato da Braschi che dava uno sguardo profondo, raffigurato con matita esile in posizione contorta improbabile, si analizza da vicino l’ano.
L’opera evidenzia da subito l’importanza delle altre ispirazioni anche precedenti nel tempo, risalendo ai disegni umoristici di rotocalchi anni ’50 quali Abc o Le ore. Così la prima parte presenta una panoramica delle pubblicazioni italiane ed estere attraverso le quali il Gruppo Stanza individuava i suoi autori di riferimento. Si parte con il settimanale Epoca che, seguendo il modello di illustrati Usa quali Life, si distinse per l’impronta grafica di Bruno Munari e per redattori quali Oreste Del Buono (futuro direttore storico di Linus), Cesare Zavattini, Enzo Biagi. Spicca per l’attenzione alle arti grafiche e fumettistiche, tanto che da subito pubblica vignette tratte da The New Yorker, Noir et Blanc, Collier’s, nonché la rubrica Piccola enciclopedia degli umoristi. Il primo disegnatore di prestigio ad essere pubblicato nel numero d’esordio del 14 ottobre 1950 fu Charles Addams, proprio l’autore del fumetto La famiglia Addams da cui furono tratti la fortunata serie tv e i film derivati. Creati nel 1938, i personaggi della Addams Family sono la sintesi mai eccessiva di un umorismo macabro con la normalità della tipica famigliola americana. L’horror comico declinato al moderato modus vivendi quotidiano è la linea seguita anche per le altre sue vignette, che si tratti di dare da mangiare ai piccioni fino alla morte o di spazzare per terra sollevando le gambe di un uomo legato e imbavagliato.
Altro importante settimanale italiano ricordato qui è L’Europeo di Gianni Mazzocchi e Arrigo Benedetti, pubblicato per mezzo secolo dal 1945, che sei anni dopo dedica la rubrica I critici sorridenti del mondo contemporaneo all’umorista noir francese Mose. La sua è una comicità drammatica silenziosa che affida tutto all’immagine, graffiante ma raffinato, dal segno lineare e pulito. Quindi con eleganza denuncia la pericolosa stupidità di un mondo in cui gendarmi si fotografano in posa dopo l’uccisione di un malvivente e i pompieri si passano a catena secchi d’acqua per riempire la vasca del capo. Proseguendo sulle orme di precursori della modernizzazione dell’umorismo grafico in Italia, passiamo per l’americano Sam Cobean (1913-1951), amico di Addams, che mette garbatamente a nudo le persone con il suo Naked Eye, per l’inglese Ronald Searle che con segni curvilinei su pubblicazioni quali Punch o Le Monde narra con presa ironica il lato nascosto della serietà istituzionale aventi per facciata ora gli austeri collegi inglesi, ora i blasonati hotel extra lusso.
A Searle come poi a Saul Steinberg, gigante del disegno umoristico stilizzato e raffinato, e a molti altri a seguire apre un’importante finestra italiana il mensile Linus, la prima rivista italiana dedicata esclusivamente ai fumetti. Creata nel aprile 1965 e battezzato culturalmente dal colloquio trascritto fra Umberto Eco, Elio Vittorini e Oreste Del Buono, oltre alle strisce Linus ha ospitato diversi vignettisti fra cui Bosc, Sempé, Siné, Feiffer.
Nel percorso ampiamente illustrato si giunge quindi all’esperienza di Ca Balà. Nella scia del maggio parigino, della satira “idiota e cattiva” di Hara-Kiri e poi di Charlie Hebdo, delle degustazioni disegnate d’autore menzionate, dell’aria diffusa di rivoluzione culturale e sociale, dal Gruppo Stanza nasce nel 1971 la “rivista di umorismo grafico e satira politica”. Questa dizione dichiarata segna la novità e la satira dei cabalisti si propone “come arma politica”. Contro la “negazione e burocratizzazione della fantasia” e il Malpaese, la rivista anarchica e underground toscana penetra in profondità con sguardo impietoso, facendo breccia fra intellettuali come Eco, Zavattini, Sergio Saviane. Fra i collaboratori ci passarono i vignettisti Bovarini, Giuliano, Contemori, Presciutti a punzecchiare duro su temi controversi allora come divozio, aborto, femminismo, conflitto di classe, religione, politica. Se come si diceva “una risata vi seppellirà”, qualche vangata di terra Ca Balà l’ha tirata, come conferma qui anche il co-fondatore della rivista e autore del libro Paolo Della Bella.
Come nasce questo volume?
Nasce dall’esperienza, l’unica cosa buona dell’invecchiare. La mia esperienza quindi, come pretesto per raccontare quel mondo affascinante del disegno umoristico, che ho vissuto come appassionato e anche come operatore, insieme agli amici con i quali ho condiviso l’esperienza del Gruppo Stanza prima, e poi Ca Balà.
Ricercavate più nell’umorismo grafico o nella satira politica?
Principalmente nell’umorismo grafico. Non è che non ci piacessero i disegnatori satirici come Siné, anzi, ma almeno fino alla nascita di Ca Balà i nostri riferimenti erano più autori come Steinberg, Chaval, François, Topor, Searle, tanto per citarne alcuni. Comunque, guardavamo con interesse le riviste satiriche dell’epoca come Siné Massacre, Hara Kiri o L’Enragé, quest’ultima nata sulle barricate del “maggio francese”.
Qual è la differenza per te?
Lieve ma evidente. La satira colpisce forte, a volte anche con violenza, ma poi si dilegua come e con l’attualità. È una contingenza, a differenza dello humour che si insinua nelle coscienze con meno durezza, ma ti fa riflettere rendendo ridicolo, con un sorriso, il personaggio o la situazione a cui si riferisce. L’attualità non lo condiziona, perché è sempre attuale, e in questo libro ci sono molti disegni che lo dimostrano.
Pensi che Ca Balà abbia aperto la strada a successive pubblicazioni quale Il Male?
Direi proprio di sì, anche per il semplice motivo che è nata nel 1978, quando noi eravamo ormai stanchi. Nel nostro piccolo abbiamo tracciato un solco dove loro si sono, con indubbia bravura, ben inseriti raccogliendone i frutti.
Il motto della rivista era “uno sguardo profondo”. In che modo l’avete seguito?
Ho voluto titolare il libro proprio in omaggio a Graziano Braschi, artefice dello slogan che ha accompagnato l’Omino che si guarda dentro e che diventerà il simbolo di Ca Balà. È uno sguardo introspettivo ma non solo. Questo sguardo irriverente e canzonatorio andava, attraverso di noi, a scrutare il mondo che in quel periodo cercava il rinnovamento sociale e politico.
La vostra era anche una ricerca nello stile grafico oltre che nei contenuti. Cosa stava cambiando?
Lo stile grafico c’era specialmente quando facevamo opere, in genere serigrafie, da esporre, libri oggetto come Settantuno, o pubblicazioni simili a riviste, sempre a tirature limitate. E proprio per questo Umberto Eco, nella presentazione della nostra prima mostra nel 1969, faceva notare una contraddizione: “quella che si pone tra disegni immediatamente consumabili (buoni per frustrare le attese di chi apre la pagina finale del rotocalco e vi cerca le sue barzellette rilassanti) e la scelta della serigrafia, del lavoro artigianale sulle finezze materiche, del gusto per gli spessori del colore e la grana della carta”. Con Ca Balà invece abbiamo invertito la rotta e abbiamo dato più spazio, come allora si conveniva, al segno “sgraziato” e improvvisato, quasi a voler smentire Umberto Eco.
Avete acceso lo sguardo su autori stranieri importanti e anche questo volume lo testimonia. Che confronto ne esce con gli italiani?
Il confronto con gli italiani è piuttosto deludente. Forse l’unico che può stare con i grandi è Bovarini che non a caso ha pubblicato su Sinè Massacre, Bizarre, L’Enragé. Comunque ritengo che anche Zac e Barletta, specialmente per quanto riguarda la satira, siano di ottima levatura. Per quelli ancora “in essere” direi Altan. Altro discorso, anche se “di parte”, lo merita Braschi. Smise di disegnare quando chiuse Ca Balà: non gliel’ho mai perdonato!
Che aria tirava?
Tirava un’aria di rinnovamento, culturale e politico. Sono gli anni della “contestazione” e noi, benché non attivi nella politica, respiravamo quell’aria. Non è un caso che abbandoniamo le gallerie, dove già riscuotevamo un discreto successo, per la rivista di “umorismo grafico e satira politica”. Forse eravamo al passo coi tempi di quella generazione etichettata come “la meglio gioventù”. E giovani lo eravamo, non vi è dubbio.
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