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Lo sguardo della Corte sul parlamento

Lo sguardo della Corte sul parlamentoLa camera dei deputati

Legge elettorale Per l'«armonizzazione» raccomandata dalla Consulta, le camere hanno davanti un lavoro non breve. Con il rischio di nuovi ricorsi. L'avvocato Besostri spiega che le motivazioni della Corte costituzionale sono «un manuale per i giudici dei tribunali». Il comitato del No lancia una petizione per la rinuncia ai premi di maggioranza

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 11 febbraio 2017

Le motivazioni della Corte costituzionale ora ci sono, ma bisogna aspettare le (eventuali) decisioni della direzione del Pd del 13 febbraio. E così solo martedì prossimo la commissione affari costituzionali della camera deciderà come procedere per «armonizzare» le leggi elettorali. Le proposte abbondano, sono già 18 e altre si annunciano. Quasi tutte sono correzioni di precedenti proposte, l’indecisione è massima e non potrebbe essere altrimenti visto che il Pd primo partito – incassata con indifferenza la bocciatura costituzionale dell’Italicum – ha prima lanciato una soluzione (il Mattarellum) e poi l’ha fatta sparire. Così è impossibile che la commissione possa concludere i suoi lavori per la fine febbraio, data per la quale Grillo vorrebbe addirittura approvata la legge in prima lettura – lui stesso però ha già cambiato idea tre volte sulla questione dei capilista bloccati (voleva estenderli anche al senato, poi tenerli solo alla camera, poi abolirli del tutto).

Le motivazioni della Corte costituzionale lasciano molto spazio di manovra al parlamento. I giudici hanno raccomandato non due sistemi elettorali identici per camera e senato, ma due sistemi che «non ostacolino la formazione di maggioranze parlamentari omogenee». Raccomandazione già presente nei moniti del capo dello stato, che a questo punto diventano clausole non aggirabili. Anche perché la Corte ha sì riconosciuto la legittimità del premio di maggioranza al primo turno (non ha toccato la soglia del 40% dei voti validi, ribadendo che non compete ai giudici ma al legislatore fissare una soglia minima), ma ha anche ribadito che il «sacrificio» della «distorsione della rappresentanza» deve essere sempre valutato in relazione al «legittimo obiettivo di garantire la stabilità del paese». Il che significa che senza «armonizzazione», e quindi con la possibilità che camera e senato si ritrovino con due maggioranza diverse, anche il premio di maggioranza può teoricamente tornare in discussione perché irragionevole.

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Certo, occorrerebbero nuove istanze alla Corte da parte dei tribunali ordinari, ma da questo punto di vista la vena non si è esaurita. Anzi, Felice Besostri che coordina il pool di avvocati «anti Italicum», avviandosi a un giro di incontri con i gruppi parlamentari e con la stessa commissione, spiega soddisfatto che la sentenza 35/2017 «è un manuale rivolto ai giudici ordinari su come scrivere un’ordinanza di rimessione alla Corte». Otto nuovi ricorsi sono già in pista perché, dice ancora Besostri, se la Corte ha ribadito che la legge elettorale è «costituzionalmente necessaria» ha anche scolpito che questa deve essere «necessariamente costituzionale». Dunque non esistono zone franche sottratte al giudizio di costituzionalità: la porta ai ricorsi, spalancata dalla sentenza 1/2014 sul Porcellum, è stata tenuta ben aperta.

Persino alla richiesta «tombale» dei ricorrenti, quella di dichiarare l’incostituzionalità di tutto l’Italicum perché approvato con strumenti illegittimi (l’emendamento-riassunto, le tre questioni di fiducia) la Corte ha risposto di non poterlo fare perché nessun tribunale aveva sottoposto la questione. La speranza del pool anti Italicum è di trovare a questo punto un giudice disposto a farlo.
Con l’obiettivo della «omogeneità» delle leggi, il parlamento dovrà dare una risposta al problema delle soglie di sbarramento che sono attualmente diverse per camera e senato, al problema delle coalizioni incentivate al senato ma escluse alla camera (viceversa le motivazioni lasciano intravedere uno spiraglio di ammissibilità persino per il ballottaggio), al problema del premio che al senato non c’è, al problema delle opzioni dei capilista che la Corte stessa suggerisce come risolvere.

Il comitato del No, che non ha apprezzato le motivazioni perché non risolvono «il vulnus alla libertà e uguaglianza del voto», ha cominciato a raccogliere le firme in calce a una petizione che chiede al parlamento di rinunciare per sempre ai capilista bloccati, alle multicandidature e a ogni premio di maggioranza. Le camere, sfumata ormai la prospettiva del voto in primavera, hanno tutto il tempo per scrivere una buona legge. E dopo due leggi bocciate dalla Consulta consecutivamente sanno bene di lavorare, come ha scritto tempo fa proprio il relatore della sentenza Nicolò Zanon citando Schmitt, sous l’oeil des russes. Sotto lo sguardo, cioè, della Corte.

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