Il protagonista di quella fantabiografia personale e collettiva che è Pistoleros! Una storia di anarchia (traduzione di Valerio Camilli, minimum fax, euro 19) a leggere i documenti si dovrebbe chiamare Eduardo Principe o Edward Prince, ma in una stanzetta parigina di fronte alla macchina da scrivere Smith Corona azzurra del 1956, a riflettere sugli accadimenti passati e sui loro riverberi, c’è sicuramente Farquhar McHarg. Questa è la sua storia, se dobbiamo dargli retta.

Come molti dei suoi compañeros – in mente viene subito B. Traven – anche Farquhar McHarg ha dovuto cambiare più volte identità nella temperie della Grande guerra e dei sommovimenti popolari che attraversano l’Europa in quel periodo. Da diciottenne con gli stessi anni del secolo e con «una fiducia testarda nella perfettibilità dell’uomo», questo ragazzetto di Govan, cresciuto presbiteriano e diventato orfano di Dio quando la teodicea cristiana si è scontrata con gli orrori dei campi di battaglia, si era convinto che «se il mondo andava salvato, dovevamo farlo da soli» e allora aveva abbracciato il credo anarchico.

IMBEVUTO DI LETTURE, da Robert Graves a Kipling, da Stevenson a Keats, si imbarca sulla Covenant, un nome che è tutto un programma, in un viaggio che lo farà crescere a tappe forzate. Farquhar, «un antico e nobile nome scozzese» che sottocoperta scambiano per «Fucker», si trova a meraviglia fra questi uomini avvezzi al cameratismo e alle cambuse. Nella sala macchine della Covenant c’è di tutto: un ex giocatore del Millwall, un fanatico religioso che sembra uscito da una pagina di Moby Dick e un inglese di nome Paddy, roba che nemmeno in una barzelletta. La nave farà a tempo a scaricarlo a Barcellona prima di venire affondata da un sommergibile tedesco sulla via del ritorno.

In Catalogna, nonostante l’ondata repressiva seguita al fallimento dello sciopero generale e al tentativo di «fare come in Russia», si è ancora dell’idea che i giorni del capitalismo siano numerati. Baretti e ristorantini pullulano di aspiranti toreri, agenti di potenze straniere e giovani sediziosi che trincano e discutono animatamente, mentre i confidentes orecchiano quelle loro conversazioni da riportare pedissequamente alla polizia. La traiettoria di McHarg allora incrocia quelle di anarcosindacalisti famosi come Salvador Seguí, Ramón Archs i Serra e Ángel Pestaña e in men che non si dica, subito dopo aver rimediato una figuraccia con un botijo, ritroveremo questo sparuto scozzese alle prese con quel gioco di ombre e fantasmi che è lo spionaggio durante una guerra mondiale in un paese neutrale come la Spagna. In questa storia di guardie e ladri, poi, non poteva mancare anche un cattivo da manuale: è Bravo Portillo, un poliziotto sul libro paga dei servizi segreti tedeschi che «vanitoso nel vestire, sfoggiava un paio di baffi a manubrio da ambasciatore meticolosamente curati e un riporto che più che una scelta di stile era un grido d’aiuto». Forse, suggerisce McHarg, se qualche parente o amico gli avesse dato una mano con quei capelli le cose sarebbero andate diversamente per lui e per gli anarchici catalani.

MA GLI INTRECCI coi tangheri upper class della Cairo Gang, le reminiscenze delle bombe all’Orsini al teatro dell’opera, le pistole Star automatiche chiamate affettuosamente sindacalistas, il groviglio pericoloso fra strateghi della tensione e propagandisti del fatto, tutto questo viene rielaborato da una distanza siderale, quella del tempo e dello spazio. È ormai il 1976 e McHarg si trova perfettamente a suo agio fra i «relitti umani che vagavano in quel mar dei Sargassi della sociometria che era all’epoca il diciannovesimo arrondissement di Parigi», quando in uno degli innumerevoli cafè fumosi di Belleville riceve la notizia della morte di un suo vecchio compagno barcellonese, il falsario Laureano Cerrada, nel modo più atroce possibile: assistendovi.
Questa sarà la miccia che innescherà la potente macchina del ricordo. Dal suo bugigattolo parigino, lo scozzese che si era opposto a Salazar e Franco traccerà una ricostruzione in cui le sue vicende personali si inseriscono e si perdono, disegnando una galleria di personaggi indimenticabili e riuscendo nel trasformare la Storia, quell’insieme di cospirazioni riuscite e mancate, in una grande narrazione picaresca. Per descrivere Pistoleros!, forse torna comodo proprio un suo passaggio: «Come disse il cane addentando la cornamusa: “Qua c’è sia carne che musica!“».