Due donne, Barbara Alberti e Ginevra Bompiani, si sono fatte portatrici di un appello dettato da un’urgenza che tanti sentono. Come far capire che si rigetta con forza la mattanza umana che sta attraversando il mondo, l’ossessione distruttiva che sta infilando tutti in un vicolo senza uscita?
Sembravano due Cassandre, Barbara Alberti e Ginevra Bompiani, quando hanno letto a Piazza Pulita, su La7, circa due settimane fa, le considerazioni contro la guerra e l’invito a uno sciopero mondiale. «Per un giorno – ha detto Barbara Alberti – incrociamo le braccia. Per un giorno non si lavora e non si consuma. Se anche il venti per cento aderisse, anche solo per qualche ora, produciamo un danno economico come dieci guerre».

Lo so, paragonarle a Cassandra non sembra un buon auspicio, visto che nessuno credette alle sventure che la figlia di Ecuba e Priamo prediceva e che puntualmente si avverarono. Tuttavia, oggi sappiamo benissimo quale errore fu non ascoltare Cassandra. Evocarla equivale a dire che non sarebbe una cattiva idea darle retta.
Bisognerebbe ascoltarle, le donne, quando prendono parola contro la guerra. Dentro un corpo di donna, per destino biologico, non abita la distruzione, ma la possibilità di dare la vita. Certo, anche una donna può diventare un’aguzzina, purtroppo, ma se accade è per emulazione di un modello maschile, per una stortura culturale o violenta, per circostanze di un destino fatale. Anche per il maschio si potrebbero dire le stesse cose, perché nessun bambino nasce assassino, resta il fatto che questo mondo è costruito su un modello voluto da chi porta il pene e noi, portatrici di utero e vagina, ne abbiamo subito per secoli le conseguenze.

Siamo nati e cresciuti dentro una macchina tecnica e sociale basata su identitarismi e ruoli, modelli dove la povertà di tanti serve a costruire la ricchezza di pochi, quindi un sistema ontologicamente ingiusto che fa della disparità la sua ossatura portante. Le guerre fanno parte di questo sistema che prima distrugge, e fa soldi vendendo armamenti, poi ricostruisce, e fa soldi con la ricostruzione.
Invocare un giorno di sciopero, benché mondiale, contro tutto ciò può sembrare ingenuo, un gesto simbolico sventolato in faccia a chi usa i muscoli, la tipica fionda contro un bazooka. Eppure… eppure uno sciopero mette in campo, anzi sottrae letteralmente, e non solo simbolicamente, il corpo a qualcosa che non si condivide, per questo fa paura a chi lo subisce, lo sciopero.
Praticare la sottrazione di sé è l’unica arma fisica e non violenta di chi non ha armi di distruzione. La sottrazione di sé diventa incisiva se è praticata da una moltitudine, se fa parte di un progetto collettivo e qui sta il punto critico. Quanti, nel mondo, sarebbero disposti a incrociare le braccia per un giorno contro le guerre? Per essere ancora più realistici, basterebbe chiedersi quanti sarebbero disposti a farlo in Italia.

Per restare ai numeri evocati da Barbara Alberti, il venti per cento di otto miliardi, tanti siamo nel mondo, fa un miliardo e mezzo, come quasi tutta la Cina o l’India. Il venti per cento degli italiani, che ormai sono meno di 59 milioni, è circa 12 milioni, più o meno i voti presi dalla coalizione di destra-centro alle elezioni del 2022. Il venti per cento degli abitanti della Ue (447 milioni) fa quasi 90 milioni. Indovinate quali sono le organizzazioni che potrebbero raggiungere, se non superare, tali numeri per far diventare reale uno sciopero mondiale? Facebook (3 miliardi di utenti attivi), Tik Tok (1,1 miliardo), Instagram (poco più di un miliardo). Praticamente siamo nelle mani di Zuckerberg.

mariangela.mianiti@gmail.com