«Little Joe», la pianta che regala una crudele felicità
Cinema In sala il film di Jessica Hausner, racconto surreale che tra mistero, fantasy, relazioni mutevoli indaga i sentimenti del presente. Protagonista Emily Beecham
Cinema In sala il film di Jessica Hausner, racconto surreale che tra mistero, fantasy, relazioni mutevoli indaga i sentimenti del presente. Protagonista Emily Beecham
Da ieri è in sala questo film presentato allo scorso Festival di Cannes, nuova opera della regista austriaca Jessica Hausner (Lovely Rita; Lourdes), narratrice di una contemporaneità che si riflette nelle sue protagoniste, personaggi femminili attraversati da inquietudini insieme letterarie e reali. Little Joe, questo il titolo che somiglia un po’ a quello di una ballata, è anche un primo segnale di ritorno al cinema – distribuisce Movies Inspired – dopo la lunga chiusura pandemica e un futuro che per la sala appare ancora molto sfuocato.
Anche stavolta la protagonista è una giovane donna, Alice, (Emily Beecham) biologa che lavora per una società specializzata nella ricerca di nuove specie di piante capaci di influenzare l’umore e le attitudini delle persone. La «creatura» a cui Alice ha dato vita è una piccola pianta col fiore rosso e l’aspetto aggraziato che ha un potere raro, quello cioè di rendere felice chi la possiede. Per lei è quasi un altro figlio, l’ha chiamata Little Joe come il figlio amatissimo e coi suoi stessi capelli rossi con cui vive dopo la separazione dal marito, che lascia solo nella loro casetta pastello per lavorare. Forse è anche per questo suo senso di colpa ampliato dalle troppe cene take-away che non rispettando il regolamento Alice decide di regalare al ragazzino un esemplare di Little Joe lasciando che il suo profumo si sprigioni in casa: ma è davvero così gioioso Little Joe?
NELLE SUE storie Hausner ama muoversi sui confini dei generi, del reale, delle emozioni, negli ambienti asettici della società dove lavora Alice appaiono riferimenti alla fantascienza con thriller, complotti, innocenti non creduti e cattivi mascherati in cui si affaccia però sempre e con prepotenza un sentimento universale dell’umano, È lì che Little Joe si avventura, tra i cambiamenti individuali e collettivi delle relazioni, a cominciare dal rapporto di una madre (di una donna) sola e di un figlio nei suoi conflitti e nelle sue infinite declinazioni. E interroga il nostro stare al mondo, facciate, convenzioni, compromessi, bugie e innocenza: cosa si fa per dimostrare, o almeno per raccontarsi di essere felici? E come è possibile che quell’aroma diffuso da una polverina nelle narici di qualsiasi essere vivente lo trasformi nel profondo fino a renderlo all’improvviso estraneo a tutti, anche a chi gli era più vicino?
MANTENERE l’equilibrio è complicato in questa dichiarazione che diventa politica , c’è il rischio di una retorica o di eccessive semplificazioni. Ma il cinema di Hausner lavora sull’astrazione e sugli spazi composti in geometrie di inquietudine e di spaesamento. Le linee ordinate del laboratorio in cui Alice (Emily Beecham) svolge le sue ricerche si oppongono a un caos invisibile di cui si colgono i segnali in superficie, qualcosa che viene negato, che sembra una follia. E se fosse invece l’intuizione giusta?
Poi accade un imprevisto, il cane di una loro collega sparisce e quando torna non è più lui al punto che la donna lo fa sopprimere dopo essere stata morsa. Ma questo effetto lo dichiarano quasi tutti coloro che si sono offerti al test della pianta: figlie che non riconoscono più le madri, mariti che vedono nelle mogli un’estranea. Anche Chris, il tenero assistente della donna è cambiato all’improvviso, e così il giovane tecnico del laboratorio. E persino Joe non è più l’amorevole ragazzino di poco prima, appare estraneo e indifferente: «Sto crescendo non posso più dire tutto alla mamma» replica freddo prima di abbandonarla. La sola voce che cerca di rompere l’incantesimo è quella di una ricercatrice che tutti considerano un po’ pazza…
SE DA UNA parte come dice Hausner, i mutamenti riguardano i gradi di conoscenza delle persone che si hanno accanto, e quei «distacchi», come nel caso del legame tra madre e figlio che mettono in discussione le certezze, Little Joe interroga come gli altri film dell’autrice la posizione di ciascuno rispetto al mondo. Cosa si crede e cosa si vuole (fa comodo?) credere, un po’ come il miracolo nel suo precedente Lourdes (la cui tenitura era forse più coerente) , che quando accade può essere bello ma può contenere in sé conseguenze negative.
La pianta dà la felicità ma quali possono essere i rischi a modificare la natura, distruggere l’ambiente, disseminare creature da laboratorio? E ancora quali sono i limiti del controllo, nella ricerca e sugli altri, anche coloro che si amano, e naturalmente su sé stessi? Hausner non offre soluzioni, ma tra le luci al neon che illuminano quelle piante carnali e vagamente spaventose, lascia fluttuare i pensieri, le domande, le angosce non sempre a fuoco, proiettati in un punto di fuga senza soluzioni.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento