Little Freddie King, una vita senza confini a tinte blues
Musica Il chitarrista del Delta si racconta, uno storyteller di classe capace di entrare in sintonia con il pubblico
Musica Il chitarrista del Delta si racconta, uno storyteller di classe capace di entrare in sintonia con il pubblico
«Ho fatto il miglior investimento della vita, ho comprato una nuova bici elettrica a tre velocità. Preferisco la marcia bassa, che innesto e via, mi permette di usare la bicicletta ogni giorno. L’unico problema, sarà l’aumento della bolletta elettrica. Ma alla mia età posso anche infischiarmene!». È un’amore antico quello di Little Freddie King nei confronti delle due ruote, secondo probabilmente solo a quello per il blues. Che celebra ulteriormente con l’ultima uscita Blues Medicine, un autentico balsamo per il cuore, utile per ogni occasione e che dimostra come il decano della scena blues della Crescent City, sia in forma smagliante. Il disco suona meravigliosamente in tutte le dieci tracce presenti, da cui emerge un solido e ritmico blues da juke joint urbano, modellato sulle caratteristiche sonore di New Orleans. Città in cui Fread Eugene Martin, nome reale di King, giunse dalla natia McComb in Mississippi, all’età di quattordici anni. Da allora è diventata oltre che la sua casa, anche l’epicentro di una vita in blues invero romanzesca. LFK, come viene chiamato dai suoi fan, è persona ironica e allegra. Lo dimostra quando raccontando la sua New Orleans di ieri e quella di oggi, esclama ironicamente «I’ve been dead so many times», con cui sottolinea quante volte nel corso della vita si sia trovato a contatto con la morte.
Sono sopravvissuto a tre sparatorie, un paio di accoltellamenti ed un incidente in bicicletta. Da giovane mentre lavoravo, presi una scossa terribile, ma sono ancora qui…
ANCHE A BORDO dell’amata due ruote: «Negli ultimi ottantadue anni sono sopravvissuto a tre sparatorie, una manciata di accoltellamenti, di cui uno all’orecchio sinistro e uno alla gamba, e ad un incidente in bicicletta quasi mortale che mi ha schiacciato la colonna vertebrale. Al dottore che voleva operarmi, dissi in modo perentorio «No Way». Tornai a casa, pregando il Signore di aiutarmi a guarire e con il tempo, ce l’ho fatta. Avevo perso sensibilità sul lato sinistro, ma con pazienza ho recuperato. Da giovane, mentre lavoravo come riparatore televisivo, toccai la presa sbagliata e presi una scossa terribile: ma rimasi vivo. Anni dopo, i medici mi riscontrarono una grave ulcera, annunciandomi che non avrei mai più potuto bere il liquore “Tush Hog”, per intenderci, quello che voi chiamate “Moonshine”. Bene, si sono sbagliati. E sai, sono sopravvissuto sia all’uragano che ha fatto a pezzi New Orleans nel 2005, che alla pandemia cinese che ha causato la morte di altri musicisti della mia generazione in città. Amico, potrei scrivere un libro sulle mie esperienze di vita».
CON QUESTI presupposti, ben si comprende come e quanto King abbia da narrare in forma di canzoni. Esemplare in tal senso è il toccante e profondo slow Father Less, dove la lentezza esalta il messaggio: «Il brano nasce da un’esperienza collettiva della comunità nera. Canto dell’assenza di una figura paterna in casa che aiuti un giovane a distinguere la differenza tra il bene e il male. Riguarda il settantacinque percento dei nuclei familiari. E questo è la radice di tanti problemi». Notevole è anche il gospel in crescendo di Dust On The Bible, dove la presenza del sodale di sempre Wacko Wade, batterista e coautore di tanti brani da ben ventinove anni, si fa sentire: «Sai, sono una persona timorata di Dio e ogni tanto mi inginocchio per lui. Come nel caso di questa canzone. Tempo fa, mi è stato offerto un appartamento nel Musicians Village, che si trova nel Upper Ninth Ward. La signora che lavora lì per “Habitat for Humanity”, all’arrivo mi ha consegnato la chiave di casa, una bottiglia di champagne e una bibbia. Che apro di rado e quindi si è impolverata. Un giorno Wacko mi ha proposto di infilare un gospel nel nuovo disco. L’ho ascoltato, e mentre stavamo studiando, abbiamo scoperto che anche Hank Williams aveva la sua versione di Dust On The Bible. La mia è diversa, suona ipnotica e spirituale, mi piace molto». Anche Canal St Corner Bar esalta il connubio con Wade: «È uno dei posti per mangiare che abbiamo in città. Wacko ha scritto questo brano per due pazzi personaggi che incontriamo ogni volta che siamo lì».
UNO STORYTELLER di classe superiore, capace di entrare in empatia con il pubblico grazie ad un’innegabile carisma che supporta da sempre con micidiali riff di chitarra, marchio di fabbrica dei micidiali boogie con i quali si è fatto conoscere. Uno sciamano autentico sul palco, o meglio ancora, un «dottore»degno della migliore tradizione voodoo di New Orleans: «Il disco di chiama Blues Medicine perché nella mia altra vita, sono «Dr. Bones». Porto la mia borsa dei medicinali ai concerti e ne faccio uscire le diverse canzoni che curano l’anima e lo spirito. Alcune può sembrare che non abbiano senso, ma ti assicuro ti fanno sentire bene. Sai, la mia musica è migliore della prescrizione di un medico. Sono il guaritore. E se verrai ad uno dei miei spettacoli ne avrai la dimostrazione».
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