L’itinerario di Gianfranco Ravasi nella cifra perfetta, dalla natura fisica alla contemplazione
Storie di numeri «Tre», dal Mulino
Storie di numeri «Tre», dal Mulino
La gematria è un grimaldello ermeneutico, molto utilizzato dalla qabbalah, che svela il valore numerico celato dietro a ogni lettera dell’alfabeto ebraico. Un esempio veterotestamentario: il nome Eliezer, servitore di Abramo nella Genesi, significa: «Dio è il mio aiuto». Se dovessimo fare il conto del “peso” quantitativo di ogni lettera – ’e (alef) = 1, l (lamed) = 30, i (jod) = 10 etc. –, otterremmo 318, ossia il segno dell’aiuto. Accidempoli! Anche nel Vangelo accadono simili calcoli: in Matteo 1,17 si insiste sul 14 quale numero della discendenza davidica di Gesù. Se scomponiamo algebricamente le tre consonanti di Dawid (d-w-d, 4-6-4) e le sommiamo – la matematica non è un’opinione –, abbiamo appunto 14.
È questa l’affascinante premessa all’ultimo libro di Gianfranco Ravasi, Tre Divina aritmetica (il Mulino, pp. 176, € 13,00), uscito in una collana dedicata exprès alle «Storie di numeri». «Tre sono le opere del Creatore – scrive Ravasi – nel terzo giorno della settimana simbolica archetipica: terra, mare e vegetazione. Partiremo proprio da questo orizzonte fisico per iniziare una sorta di ascesa verso la vetta ove si apre il cielo trinitario. Il programma che proponiamo è simile a un itinerario che dalla valle s’inerpica lungo le balze di un monte, un po’ come aveva suggerito Giovanni della Croce nella sua famosa opera mistica Salita al monte Carmelo (1579-1585). Le tappe sono scandite da cippi che recano sempre inciso il numero tre: dalla natura fisica saliremo all’incontro con l’umanità e la sua cultura; ci attenderà poi l’ampia cengia o balza delle religioni, per raggiungere alla fine la cima della contemplazione celeste della Trinità».
Hic saltus. S’incomincia, dunque, con le triadi naturali da Newton a Lavoisier e Proust (Joseph, non Marcel), per passare alla tricotomia della persona umana – si veda la Prima Lettera di Paolo ai Tessalonicesi, «tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo» – e alle triadi letterarie (con Flaubert, Gertrude Stein, Cechov, Tozzi, Dumas e compagnia). Ci si addentra poi, più approfonditamente, nelle terne neotestamentarie (curiose le «Tre Taverne, località della via Appia a 33 miglia da Roma, luogo d’incontro di una delegazione di cristiani romani con Paolo che proveniva da Pozzuoli, Atti 28,15»). Com’è ovvio che sia, Ravasi mette innanzitutto in rilievo la Trinità, esplicitata dal Risorto nell’ultima apparizione («Andate e fate discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo», Matteo 28,19), la cui dettagliata trattazione toccherà la parte finale del libro.
«Tre sono le pratiche religiose classiche del giudaismo – osserva ancora il biblista – elencate da Gesù nel Discorso della montagna: l’elemosina, la preghiera, il digiuno (Matteo 6,1-18), così come sono tre i vegetali sui quali incombe la tassa per il tempio, menta, aneto e cumino, segno di un’osservanza solo rituale e ipocrita (Matteo 23,23). Tre sono gli apostoli, Pietro, Giovanni e Giacomo che accompagnano Gesù in alcuni momenti privilegiati della sua vita, come la Trasfigurazione sul monte di Galilea identificato dalla tradizione nel Tabor (Matteo 17,1-8)». E si prosegue con questo ritmo forsennato fino agli ultimi barbagli dell’esistenza terrena del Cristo.
Eccoci alla cuspide della Trinità: Dante, su imbeccata di Gioacchino da Fiore, la rappresenta in tre cerchi di colore diverso ma di uguale circonferenza («Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre colori e d’una contenenza; / e l’un da l’altro come iri da iri / parea reflesso, e ’l terzo parea foco / che quinci e quindi igualmente si spiri», Par. XXXIII, 115-120). Mistero dei misteri, luce etterna che a sé stessa arride, sfiorata di sghimbescio dal Simbolo atanasiano, effigiata in vario modo dalla via pulchritudinis dell’arte, la Trinità è ovunque (nel rito, nella musica, nella toponomastica): del resto, secondo Nerazio Prisco, tres faciunt collegium, ed è dimostrato ormai: «Il caleidoscopio dei numeri non è solo uno strumento di computo, ma trascolora spesso in una sorta di interpretazione del divino, del mondo e della stessa esistenza umana».
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