Salvini che straripa fino a sostituire Di Maio all’assemblea della Confesercenti dove promette mari e monti ai commercianti una volta di sinistra. Una sinistra che assiste sbigottita a questa deriva e che nelle sue parti migliori si attesta ad un ruolo, prezioso, ma di testimonianza di valori di solidarietà umana e di accoglienza.

Queste sono le due facce della medaglia della Terza Repubblica che comincia.

Certo c’è un filo che lega i processi in corso. Si dipana a partire dal cuore del capitalismo dove Trump esprime la fine della fase espansiva della globalizzazione che non regge gli effetti della globalizzazione e riscopre confini per merci e persone. Attraversa  l’Europa, una realtà incompiuta,  a metà tra ambizioni di potenza globale sognate ed interessi nazionali reali e che al primo impatto con le nuove contraddizioni si impantana. Tocca, infine, l’Italia che sta all’altro capo del filo: paese terminale di questo processo, imprigionata, al centro del Mediterraneo, nelle nuove contraddizioni, tra il mondo di un benessere che si arresta e quello di una disperazione che avanza.

Confine o ponte, vittima predestinata di una crisi epocale o, al contrario,  laboratorio dell’unico futuro possibile, quello di un Mediterraneo culla di una nuova civiltà?

Oggi la risposta è solo la prima. Purtroppo.

Qui è in corso la prima sperimentazione di due soggetti, con tratti comuni a tutti i populismi, ma con radici territoriali, sociali, demografiche diverse. Se questo incontro si consolida, come sta accadendo, sotto la guida travolgente della destra leghista, esso è destinato a produrre uno smantellamento di assetti istituzionali e di valori. Un allentamento di tutti i vincoli che fanno di uno Stato uno Stato, l’inseguimento dei peggiori istinti alle soluzioni individuali, la legittimazione della cultura dell’evasione e tutto quanto può produrre la fantasia scatenata di un arringatore di folle in campagna elettorale permanente. Il modo in cui si stanno liberando, amplificati anche dai social, i peggiori istinti di chi ha una rabbia sociale repressa, la dice lunga sul carattere profondo di questa crisi che è di valori, di cultura, di produzione di senso.

Ma quanto accade è figlio della destra che c’é o della sinistra che non c’è più?

Credo che questa crisi sia veramente epocale e che la stessa funzione storicamente esercitata dalle sinistre debba essere ricostruita ex novo. Non ho, quindi, ed invidio chi pensa di averne, ricette per il futuro. Penso che dobbiamo elaborare seriamente il lutto della sinistra che fu per riprenderne i fili e ritrovare la bussola per orientarci nei tempi nuovi che stiamo vivendo.

Mi accontenterei per il momento di cercare di capire come mai tra i cittadini, nello stesso mondo di sinistra stiano attecchendo valori e comportamenti diversi da quelli che pensavamo e che li spingono verso altri lidi. Mi piacerebbe perciò che si costruisce lentamente, ma seriamente una riflessione puntuale, un metodo di ricerca politica aperto e sincero. Con la modestia e col rischio di sbagliare che ogni ricerca comporta.

Prendiamo ad esempio il tema dell’Europa e della sovranità. Il sovranismo è certamente il principale fattore di aggregazione dei due populismi, di aggregazione orizzontale tra le due leadership e verticale tra leader e popolo. Possiamo riflettere meglio su questo tema che va ben oltre l’elettorato della maggioranza e tocca anche fasce notevoli di elettorato di sinistra?  Il sovranismo di oggi è sicuramente un ritorno agli stati ed alle identità nazionali, quindi scelta di destra oppure è anche una critica allo spostamento in alto delle sedi decisionali, quindi ad uno svuotamento della democrazia di un’Europa che assorbe sovranità dal basso, ma non restituisce in basso poteri e spazi di partecipazione? Perché non pensare che esso oggi incorpori una rivendicazione di sovranità di popolo da sinistra?

Connesso a questo è lo stesso modo di vivere la costruzione europea. C’è un’Europa sognata, grande potenza in uno scenario globale ridotto a poche superpotenze. Un’Europa che in virtù del suo essere stata culla culturale e generatrice dello stato sociale può ambire ad un ruolo ambizioso di nuovo modello di sviluppo economico ed umano. Ma l’Europa che abbiamo creato è un compromesso tra stati diversi e con grandi squilibri. Si può pensare di governarla con le regole di vincoli di bilancio, col dominio dei poteri di nuovi apparati burocratici sovranazionali, che rispondono solo a sé stessi? Di viverla come una struttura stabile in cui le differenze le specificità debbono essere compresse nelle regole e nelle percentuali definite con qualche saltuaria concessione per chi si comporta bene o l’Europa va ricostruita dal basso, in un processo creativo di confronto dialettico che la rinnovi permanentemente, in un rapporto vivo con i popoli che la compongono? Se l’Europa dei mercati ha interesse a mantenere questa gabbia, l’Europa dei popoli ha bisogno di altro. E la sinistra, in Europa e non solo in Italia, non dovrebbe porsi all’altezza di questi problemi?

Ricostruire la sinistra e ricostruire l’Europa forse fanno parte dello stesso problema. E non sarà né una passeggiata né un pranzo di gala.