L’Italia doveva vincere la sfida con l’Uruguay e l’ha vinta. Di stretta misura: 17-10, con una sola meta di scarto e rischiando nel finale di subire il pareggio. Le due mete azzurre portano la firma di due esordienti: Pierre Bruno, ala venticinquenne delle Zebre, e Haime Faiva, ventisette anni, tallonatore neozelandese con sangue tongano, cresciuto a Aukland e trasferitosi a Treviso, divenuto uno dei molti equiparati del rugby italiano. E questa sono le note positive. Le uniche. L’Italia doveva disputare una buona partita (“buona” poteva bastare, non si chiedeva l’eccellenza), offrire qualche certezza, mostrare di avere un impianto di gioco, delle basi da cui ripartire. Se qualcosa del genere c’è stato, noi non ce ne siamo accorti, e nemmeno i quattromila spettatori dello stadio Lanfranchi di Parma. L’incontro è stato brutto, a tratti nervoso, ma di questo non possiamo dare colpa ai Teros. Il loro è stato un match onesto, giocato al massimo delle possibilità: si sono affidati alle fasi statiche, alle loro qualità di combattenti, alla presenza e al sostegno nei punti di incontro. Quello che sapevano fare – giocare il “loro” rugby – lo hanno fatto. Non si può dire lo stesso degli azzurri.

PER TUTTO il primo tempo l’Italia ha deciso di affidarsi al gioco al largo. Mai scelta è parsa più velleitaria: al primo placcaggio il nostro portatore di palla si trovava puntualmente isolato, con il sostegno sempre in ritardo, e la difesa uruguayana aveva regolarmente la meglio. Poche idee, mal eseguite. I turnover fioccavano uno dopo l’altro. La meta di Pierre Bruno giungeva al 12’, dopo una rimessa in gioco, e Garbisi piazzava tra i pali il calcio di trasformazione. Ma da lì in poi ogni tentativo di puntare sulle touches e organizzare le maul avanzanti abortiva. La disciplina di squadra era letteralmente disastrosa. Se la mischia ordinata reggeva il confronto e spesso aveva la meglio, nei punti di incontro i Teros erano regolarmente più presenti e aggressivi, costringendo gli azzurri a un’irritante serie di falli. Alla prima occasione utile un penalty di Carlos Favaro riportava sotto l’Uruguay: 10-3. Poi erano gli azzurri che approfittavano della superiorità numerica (cartellino giallo a Inciarte) per allungare ancora al 39’ con un piazzato di Garbisi. Fine del primo tempo.

LA RIPRESA del gioco sembrava promettente. Crowley cambiava tutta la prima linea e dopo sei minuti era Faiva a finalizzare una maul: 17-3. Otto minuti dopo era però la mischia uruguayana a trovare la meta con Sanguinetti e la trasformazione di Ormaechea portava i Teros sul 17-10, a soli sette punti di distanza. Da questo momento in poi gli azzurri hanno perso la bussola e quelle poche convinzioni che sembravano sostenerli: la situazione nei punti di incontro è ulteriormente peggiorata e la disciplina di squadra è collassata. Crowley mandava dentro Licata, Fusco, e un terzo esordiente, il figiano Tavuyara, ma i cambi non raddrizzavano la rotta di navigazione. Al 75’ giungeva anche un giallo per Fischetti, con gli uruguayani a ridosso della nostra linea di meta, ma la difesa italiana reggeva l’impatto e salvava una situazione che appariva disperata. Si finiva con una rimessa italiana nella metà campo avversaria e Garbisi che calciava in out per non incorrere in altri rischi. Un brutto epilogo per una brutta partita. Ritroveremo l’Uruguay nel girone di qualificazione dei prossimi mondiali e per la nostra nazionale (questa nazionale) sarà un avversario ostico. Intanto c’è il Sei Nazioni alle porte: Francia, Scozia, Irlanda, Inghilterra, Galles. E il tempo per migliorare è ormai scaduto. Good night and good luck,