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«Il latte artificiale fa solo danni»

Intervista Il sociologo Jan Douwe Van Der Ploeg

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 21 febbraio 2019

L’Italia fa bene a proteggere i suoi formaggi, formaggi veri, contro i formaggi artificiali prodotti dai grandi imperi alimentari. La deregolamentazione dei mercati conviene soltanto alla grande industria e alla grande distribuzione per far arrivare il latte in polvere da lontano, dove costa molto meno, e allungare la vita dei prodotti». Jan Douwe van der Ploeg, docente di sociologia rurale alle università di Wageningen (Olanda) e di Pechino, è autore di diversi studi sull’agricoltura contadina, in Europa e in Cina, e convinto della sua necessità se vogliamo garantire il diritto al cibo.

La grande industria alimentare è sempre più orientata a creare cibo costruito, completamente slegato dal luogo di origine e dalla stagionalità. È possibile contrastare questa tendenza?

Quelli che io definisco imperi alimentari hanno interesse a procurarsi le materie prime ovunque nel mondo trovino i prezzi più bassi e ad utilizzarle come ingredienti per varie tipologie di alimenti. Poiché il più delle volte si tratta di materie deperibili, devono trovare il modo di farle durare a lungo. Con il latte il sistema più semplice è ridurlo in polvere per poi ricostituirlo, ma con aggiunta di additivi e correttori, quindi il prodotto finale non sarà certo uguale a un formaggio fatto con il latte fresco. Devo dire che gran parte della ricerca nelle università è orientata a trovare i metodi più efficaci per far viaggiare il cibo nello spazio e nel tempo, con diverse conseguenze negative: deprimere i prezzi delle materie prime pagati agli agricoltori; produrre cibo sempre più elaborato che contribuisce al diffondersi dell’obesità; aumentare i rischi di contaminazione del cibo; introdurre nell’alimentazione additivi di cui non conosciamo le interazioni e gli effetti sulla salute a lungo termine. Per contrastare questa tendenza bisogna ricostruire il mercato.

Ma noi viviamo in un’economia di mercato….

In Europa si parla tanto di mercato, ma di mercato ce n’è sempre meno. Quello europeo è un mercato liberalizzato e deregolato, dove una piccola eccedenza può causare un effetto negativo sui prezzi. Gli imperi alimentari, che devono nutrire il processo di accumulazione del capitale, giocano sulla volatilità dei prezzi, su cui possono speculare. Potrà sembrare un paradosso, ma in Cina, dove ci sono davvero molti mercati, mercati veri, i produttori agricoli ricevono una remunerazione maggiore sulle materie prime rispetto ai loro colleghi europei. Nella città di Pechino (21 milioni di abitanti) la quasi totalità dei prodotti agricoli passano da un mercato, si chiama Xin Fa Di, un mercato immenso, che occupa una superficie di 150 ettari, dove ogni giorno decine di migliaia di produttori agricoli incontrano altrettanti compratori, cioè ditte, ristoranti, negozianti e i prezzi scaturiscono davvero dall’incontro tra domanda e offerta. E in momenti di crisi lo stato ha le leve per intervenire. In Europa invece, abbiamo decine di migliaia di produttori che hanno come controparte soltanto una manciata di colossi della grande distribuzione, così potenti che possono imporre i loro prezzi.

È così che mantengono i prezzi bassi anche sugli scaffali?

Questa è una finzione. Faccio un esempio: in Olanda, dove si producono molte patate biologiche, la grande distribuzione va a comprare le patate biologiche magari in Austria, apposta per abbassare il prezzo alla produzione riconosciuto agli agricoltori olandesi. Bisogna saper leggere il divario sempre crescente tra prezzi alla produzione e prezzi al consumo.

Dal suo osservatorio globale, come vede la protesta dei pastori sardi?

Si tratta di una protesta legittima, ma non può essere una mera protesta, deve portare a costruire un’alternativa che sta nel by-passare la grande distribuzione e la grande industria e creare un mercato per il formaggio vero, fatto dai contadini e controllato dai contadini stessi. È necessario che produttori e consumatori si parlino e si accordino tra loro. Ci sono diverse esperienze in questo senso anche in Italia. Peccato che la sinistra, anche l’estrema sinistra, non abbia ancora colto questa necessità: la lotta si è sempre fatto solo a livello di produzione, mentre è necessario estenderla all’intera filiera, compresa la distribuzione. Quelle per il buon cibo e per l’accesso alla terra saranno lotte centrali nei prossimi anni, anche in Italia.

L’agricoltura contadina ha qualche chance di farcela?

L’agricoltura contadina, quella delle piccole e medie aziende, autosufficienti, che chiudono le filiere e che non dipendono dai grandi imperi alimentari o finanziari, alla prova dei fatti è molto meno vulnerabile dell’agricoltura imprenditoriale che dipende dalle banche, dal mercato e dalle sue oscillazioni. Vedo processi di ri- contadinizzazione dappertutto, nel Sud del mondo come nel Nord. Anche in Cina la politica di sviluppo rurale si basa sull’assunto fondamentale della sovranità alimentare. Vogliono essere autosufficienti al 95% e per raggiungere questo obiettivo Xi ha lanciato una politica di rivitalizzazione rurale molto esplicita che ha come base la piccola unità contadina.

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