Michele Santoro è per una parte del pubblico della tv un po’ come la mamma, una presenza che ti dà la certezza che nulla è mutato e che il tempo in fondo non passa. All’improvviso si torna indietro negli anni, all’innocenza della giovinezza, alle passioni politiche sopite, alla squadra del cuore. Ogni ritorno di Santoro in tv fa questo curioso effetto. Forse è accaduto anche per l’ineffabile Michele Anzaldi, il renzianissimo vigilante, che ha commentato il rientro del giornalista: «Santoro come Totti».

Che Santoro sia un fuoriclasse si sapeva, anche se, come tutti i fuoriclasse, il rendimento non era stato sempre all’altezza della sua fama. Anzi, proprio nell’ultimo periodo prima di scomparire dalla tv, aveva dimostrato qualche affanno di troppo nel condurre un modello di talk visibilmente usurato. Lui che pure il talk show politico l’aveva inventato, subendo nel corso degli anni decine di imitazioni.

L’uscita temporanea di scena e l’anno sabbatico gli è servito per ripensare una nuova formula. Il risultato si vede. Eccome. Il talk dalla politica politicante si sposta sulla realtà e nel cambio di prospettiva il saldo è nettamente positivo. Anche gli ascolti, una media di un milione e ottocento mila spettatori con punte di due e mezzo, uno share di oltre l’8%, lo testimoniano.

Il giornalista spinge il programma, non è una novità, lo fece anche in passato in altri momenti di transizione della sua storia professionale, verso l’inchiesta e il reportage, fa quasi a meno della corte dei politici (ma alla fine chiama in studio i sindaci De Magistris e Sala a parlare di periferie). Il tema, le isole di consumismo per chi vuole imitare i super ricchi anche per una notte, non è nuovo, ma è nuovo come lo tratta, mettendo al centro il conflitto, la contraddizione forte, stridente, al limite della provocazione.

Briatore versus Montanari, i soldi contro la storia dell’arte, il Billionaire contro gli Uffizi. Il metodo in fondo è sempre quello, e Santoro non vi rinuncia, non vi ha mai rinunciato, sottraendolo questa volta virtuosamente alla recita stucchevole della chiacchiera politica.
Quando il conflitto funziona, e in questo caso funziona, la resa è straordinaria per capacità di penetrazione della realtà e forza narrativa. La rete e i social, con gli esibizionismi di un individualismo di massa straripante, o il sud, approdo ritornante del giornalismo del conduttore, uno dei pochi a tenere sempre acceso un faro sul dramma del mezzogiorno, arrivano allo spettatore come un pugno nello stomaco, spesso indigesti.

Ma l’interesse è assicurato, un di più di conoscenza pure. E’ questa l’informazione che la Rai può e sa fare, quella che paga anche negli ascolti. Non si capisce però, ed è il vero punto debole di questo ritorno di Santoro nell’azienda di viale Mazzini, perché non dare continuità a questa esperienza. Il rischio è, purtroppo è già successo con Circus (andò in onda con discontinuità, era sempre un altro ritorno in Rai, correva l’anno 1999) che il pubblico, che ha bisogno di abitudini e continuità, se ne dimentichi e alla prossima puntata, chissà quando chissà come, si sia già fidelizzato altrove.