L’Iss: concentrazione dei casi nelle Rsa e nelle famiglie
Codice rosso Non è vero che le donne si ammalino di meno: oggi sono la maggioranza dei contagiati (51%)
Codice rosso Non è vero che le donne si ammalino di meno: oggi sono la maggioranza dei contagiati (51%)
Secondo l’ultimo bollettino della Protezione Civile sono stati registrati 420 decessi e 3.021 casi. Il totale delle vittime sale a 25.969 e quello dei casi positivi a 192.994. Diminuiscono ancora le persone ricoverate, e ora sono poco più di 23mila. Non sono dati molto incoraggianti a dieci giorni dalla fase 2, soprattutto per la Lombardia e il Piemonte che hanno registrato rispettivamente 1091 e 682 casi. Ma l’oscillante quadro giornaliero fornito dalla Protezione Civile è sempre meno adeguato per capire a che punto siamo.
MEGLIO GUARDARE alle analisi dell’Istituto Superiore di Sanità, che ieri ha presentato l’analisi più aggiornata dell’epidemia di Covid-19. Nel corso dell’emergenza, l’Istituto ha affinato gli strumenti di analisi fornendo una messe di dati sempre più ricca sull’epidemia.
Tra i dati più interessanti c’è la disaggregazione per genere dei casi positivi. Mentre inizialmente i malati sono stati in maggioranza maschi (il 55% fino a marzo), nell’ultimo periodo le donne infettate sono state più numerose, con 38 mila contagi (il 61%) rispetto ai 24 mila degli uomini. Così oggi le donne rappresentano la maggioranza di casi (51%). Mentre tra i decessi i maschi rimangono il 63,3%. Quando all’inizio dell’epidemia le donne sembravano ammalarsi di meno, erano state cercate spiegazioni biologiche a questa differenza.
È probabile, invece, che l’inversione di tendenza sia determinata dai diversi luoghi di esposizione al virus prima e dopo il lockdown. Con la chiusura delle attività produttive, il rischio di infezione si è concentrato principalmente nei luoghi del lavoro di cura, dove la componente femminile è molto più forte. I contagi, ha spiegato infatti Brusaferro, dal primo aprile a oggi si sono concentrati all’80% nelle Rsa (44%), nelle famiglie (25%) e negli ospedali (11%). È un dato che consiglia prudenza nelle analisi. L’epidemia mescola biologia e società e, attribuendo alla biologia le cause di fenomeni che invece dipendono dallo status socioeconomico, spesso si cade in errore.
È IN CALO la percentuale di operatori sanitari positivi al virus. Dopo aver oscillato per tutta l’epidemia tra il 15 e il 20% del totale nei dati settimanali dell’Iss, in aprile medici e infermieri hanno rappresentato poco più del 10% dei contagiati. Il miglioramento è probabilmente determinato da una maggiore disponibilità di dispositivi di protezione e da un minore carico di pazienti ricoverati. Tutto a posto, dunque? Non ancora: «Il virus continua a circolare tanto che esistono ancora oggi 106 zone rosse in altrettanti Comuni in 9 Regioni e occorre procedere con cautela, passo dopo passo», ammonisce Brusaferro.
Come si vede, ci sono differenze notevoli tra i dati presentati dall’Istituto Superiore di Sanità e quelli presentati ogni giorno dalla Protezione Civile. La causa della discrepanza è stata spiegata dal matematico Stefano Merler, che alla Fondazione Bruno Kessler di Trento fornisce i modelli teorici per interpretare i dati dell’Iss. Mentre i dati della Protezione Civile si riferiscono ai casi e ai decessi notificati dalle regioni, i grafici dell’Iss usano come riferimento temporale la data di insorgenza dei sintomi, un dato più accurato per descrivere il contagio. Tra sintomi e notifica, infatti, possono trascorrere anche due settimane e questo spiega perché gli effetti del lockdown, a giudicarli dai dati giornalieri, sembrino così tardivi. Spiegarlo solo oggi è l’ennesimo errore di comunicazione.
In realtà, ha mostrato Merler, il distanziamento sociale ha agito nei tempi previsti. Lo dimostra l’andamento dell’indice R0, che rappresenta il numero di persone contagiate in media da un individuo infetto. R0 era già ben al di sotto di 1 (la soglia che indica che l’epidemia sta rallentando) il 25 marzo, proprio due settimane dopo l’inizio delle misure più restrittive. Il 6 aprile nelle diverse regioni l’indice variava tra 0,3 e 0,7. A Codogno, dove la zona rossa è stata decretata il 23 febbraio, R0 era sceso sotto la soglia critica già il 1 marzo. «La trasmissibilità risulta in calo già prima dell’istituzione della prima zona rossa», ha spiegato Merler «perché il semplice sapere che c’era un’epidemia ha fatto cambiare abitudini e aumentato la consapevolezza».
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