Visioni

L’isola delle «sirene» nel mondo incantato della solidarietà femminile

L’isola delle «sirene» nel mondo incantato della solidarietà femminile

Rotterdam 50 «Mayday», il film d'esordio di Karen Cinorre in concorso al Festival

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 9 febbraio 2021

Nel Paese delle meraviglie di Ana (Grace Van Patten) non ci sono bianconigli né cappellai ma un’isola rigogliosa e incontaminata, a eccezione dei detriti di una guerra che sembra non poter avere mai fine. Come la Dorothy del Mago di Oz è una tempesta a trasportare Ana nel mondo «altro» in cui è ambientato il film d’esordio di Karen Cinorre, Mayday, presentato in concorso a Rotterdam dopo il debutto al Sundance Film Festival.
Avvilita nella sua tenuta da cameriera azzurro spento al catering di un matrimonio, aggredita anche fisicamente dal suo capo e incapace di difendersi, Ana passa oltre la soglia magica custodita da un forno industriale e si ritrova dall’«altra parte».

UN MONDO dai colori accesi in cui viene accolta da altre tre giovani donne Mia Goth, Havana Rose Liu, Soko, Théodore Pellerin – che le fanno scoprire i propri talenti: cecchina infallibile, nuotatrice provetta, parte integrante di una sorellanza che ha i tratti del #metoo e l’estetica elegante e stralunata di Wes Anderson. Ai margini del loro spazio si muovono gli uomini, impegnati nella loro guerra senza fine e persi nel mare, a bordo di sottomarini di un’epoca passata, alla deriva come Ulisse e i suoi in balìa delle sirene, sul cui mito Cinorre costruisce le sue eroine che con il loro «richiamo» radiofonico – il mayday del titolo – li attirano in una trappola senza via di scampo, giocando con lo stereotipo della damsel in distress e «punendo» chi lo perpetua rispondendo al loro «canto» letale.

Cinorre racconta di aver scritto la sceneggiatura prima dell’esplosione del movimento #metoo e di Time’s Up, di cui però traspone in modo letterale nel suo film ogni istanza, al pari dei personaggi del mondo reale che ritroviamo tutti in veste di «nemici» o «amici» nella Wonderland di Ana – come nel caso del cammeo di Juliette Lewis che da inserviente nel mondo reale diventa la «veterana» di quell’isola che non c’è. Nella sua storia di formazione per trovare il proprio posto nel mondo, al fianco delle proprie sorelle – ma imparando ad abbattere le linee di demarcazione troppo nette – l’intento dichiarato della regista è dare vita a una Dorothy il cui percorso non sia indicato dal coraggio e il cuore di altri da sé – ma la sua terra incantata resta a tratti intrappolata dentro le proprie stesse intenzioni.

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