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Sardegna, l’isola della pace: «Via le basi e basta esercitazioni militari»

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Sardegna Manifestazione il 13 settembre. Nei prossimi giorni partiranno da Santo Stefano le armi destinate ai kurdi

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 23 agosto 2014

Una manifestazione contro l’occupazione militare della Sardegna è stata organizzata per il 13 settembre a Capo Frasca da diverse associazioni e movimenti politici pacifisti e indipendentisti. Tra i promotori dell’iniziativa, A manca pro s’indipendentzia (A sinistra per l’indipendenza), Sardigna Natzione Indipendentzia e Gettiamo le basi, che si battono per la chiusura di tutte le basi e per la bonifica e la riconversione delle aree coinvolte.
«Le servitù – scrivono le sigle che organizzano la mobilitazione – sono un sopruso che dura da sessant’anni, con la Sardegna ridotta a un campo di sperimentazione militare in cui diventa lecita qualsiasi soglia d’inquinamento e viene testata qualsiasi tecnica di sterminio». «Col passare del tempo – prosegue la nota – lo stato italiano intensifica il ritmo e il peso delle esercitazioni militari. L’occupazione militare è la negazione più evidente della nostra sovranità e impedisce uno sviluppo socio-economico indipendente del nostro popolo, condannando la Sardegna all’umiliante ruolo di area di servizio della guerra». La manifestazione servirà anche a chiedere la sospensione delle esercitazioni militari dell’esercito israeliano in programma, proprio nel poligono di Capo Frasca, a fine settembre.

Intanto è ormai sicuro che il grosso delle armi italiane che andranno alle milizie kurde partiranno nei prossimi giorni dal deposito della Marina militare sull’isola di Santo Stefano, nell’arcipelago della Maddalena. Quando, nel 1994, fu scaricato dalla stiva della nave mercantile ucraina Jada Express, l’arsenale custodito nel sottosuolo di Santo Stefano comprendeva 30mila kalashnikov, 4mila missili anticarro AT-4 Spigot, 50 batterie di lanciarazzi Katyushacon 5mila razzi Grad, 11mila razzi anticarro, 400 lanciarazzi Rpg e 20 milioni di proiettili.Armi di contrabbando inviateda trafficanti russi ai serbo-bosniaci durante la guerra dei Balcani, intercettate dai servizi segreti italiani e sequestrate dalla Marina militare. Un terzo di questo materiale è stato consegnato nel 2011 dal governo di Roma alle formazioni libiche che allora combattevano contro il regime del generale Gheddafi. Il resto, dopo la decisione del parlamento presa l’altro ieri, prenderà presto la via del Kurdistan iracheno.

E ovviamente, in Sardegna la vicenda ha riacceso la polemica sulle servitù militari. Lo dimostra la convocazione della manifestazione del 13 settembre a Capo Frasca, ma non solo. Il presidente della giunta regionale di centro sinistra, Francesco Pigliaru, in polemica con l’esecutivo Renzi sordo alla richiesta di ridurre il pesantissimo carico militare sull’isola (il 65 per cento di tutte le aree militarizzate in Italia), durante la conferenza nazionale sulle basi svoltasi il mese scorso a Roma si è rifiutato di rinnovare il protocollo d’intesa con il governo. Questo però non è bastato a mettere Pigliaru al riparo dalle critiche dei movimenti antimilitaristi. «Da alcune settimane e su temi dirimenti per il presente e per il futuro della nostra isola, come le servitù militari, la giunta regionale mostra limiti evidenti e corto respiro». Così ieri, con una nota, gli esponenti di Sardegna libera, Claudia Zuncheddu, e di Sardegna sostenibile e sovrana, Pierluigi Marotto, hanno attaccato Pigliaru. «Di ben altro tenore e spessore – dicono Zuncheddu e Marotto – dovrebbe essere l’impegno del presidente e della giunta che, alla prova dei fatti, manifestano invece un’allarmante inadeguatezza politica».

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