L’IsIAO non è l’araba fenice
S.O.S. cultura, il caso dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente La recente riapertura della biblioteca dell’Istituto, prezioso, immenso patrimonio (180.000 volumi) legato soprattutto alla figura del grande tibetologo Giuseppe Tucci, nasconde una triste realtà...
S.O.S. cultura, il caso dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente La recente riapertura della biblioteca dell’Istituto, prezioso, immenso patrimonio (180.000 volumi) legato soprattutto alla figura del grande tibetologo Giuseppe Tucci, nasconde una triste realtà...
Il 9 maggio scorso Roma ha assistito a un’apparente rinascita dalle proprie ceneri dell’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO), come l’araba fenice ma in gran parte mutilata sia della propria struttura che della propria identità. Infatti, di tutto l’istituto vengono salvate unicamente le collezioni museali, gli archivi e la prestigiosa biblioteca, accolta all’interno della Biblioteca Nazionale a integrare la preesistente collezione orientale. Oggi è stata resa nuovamente fruibile al pubblico e ai ricercatori di tutto il mondo dopo più di sei anni di oblio! Quello che un tempo era l’IsIAO oramai non esiste più, rimane soltanto la sua decadente sede di Via Aldrovandi, nelle cui sale vuote echeggia il suono sordo dell’abbandono. Viene da chiedersi come mai un tesoro di tale valore, parte essenziale del nostro patrimonio storico, artistico e letterario sia stato, viene da dire «volontariamente», dimenticato dallo Stato Italiano e sia così poco conosciuto dalla sua popolazione. Per ammissione dello stesso Andreotti (1993), a causa di ignoranza e gelosie si tentò di far chiudere l’allora IsMEO già ai suoi albori, ascrivendolo tra gli enti superflui da eliminare.
L’IsIAO nasce nel 1995 dalla fusione dell’Istituto italo-africano (Iia) con l’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO), fondato da Giovanni Gentile e Giuseppe Tucci nel 1933. Tucci, considerato da tutti il più grande tibetologo mai esistito, ne fu il direttore dal 1947 al 1978. Visionario, uomo fuori dal comune, primo straniero a entrare a Lhasa aprendo il Tibet all’Occidente, fu un grande esploratore. Compì numerose spedizioni sia in Tibet (1929-1948) che in Nepal (1950-1954) ma anche campagne archeologiche nello Swat (1955), Afganistan (1957) e Iran (1959), da cui riportò una serie di manufatti che oggi fanno parte di una delle maggiori collezioni al mondo d’arte del Gandhara (Museo Nazionale d’Arte Orientale Giuseppe Tucci, altra spinosa vicenda romana).
L’IsIAO, per definizione un ente pubblico non economico posto sotto la sorveglianza del Ministero degli Affari Esteri, aveva lo scopo di promuovere gli scambi culturali tra l’Italia e i paesi dell’Africa e dell’Asia. Numerose le sue attività: finanziava le missioni archeologiche in Asia Centrale ed Estremo Oriente, era il maggiore centro d’insegnamento di lingue asiatiche e africane in Italia, si occupava della produzione e conservazione di testi scientifici e divulgativi riguardanti la storia, la cultura e le religioni dei paesi asiatici e africani. Agente politico importante, ha il merito di aver formato tutta l’orientalistica italiana. Tuttavia, dopo soli sedici anni di vita, l’11 novembre 2011 viene chiuso e posto in liquidazione coatta amministrativa a causa di un debito accumulato di oltre cinque milioni di euro. Si può veramente attribuire l’intera colpa di questo fallimento solo all’IsIAO? L’istituto fu accusato dai ministri del momento Frattini e Tremonti di non aver mai adeguato i propri costi al volume del contributo pubblico assegnatogli. La verità è che tale contributo era già stato ridotto del 44 per cento rispetto a quello iniziale, rendendolo insufficiente persino a pagare i dipendenti!
La biblioteca dell’IsIAO è un gioiello raro, una delle più complete d’Europa per quanto riguarda la storia e le culture dell’Asia e dell’Africa. Comprende ben 180.000 volumi, distribuiti a loro volta in fondi. Fra i più importanti troviamo il fondo Tucci con 25.000 volumi sull’Iran, l’India, il Tibet e la Cina, tra i quali si annoverano testi storici e filosofici, dizionari e grammatiche, rari scritti sull’arte e testimonianze di missioni archeologiche. Di gran pregio, sono i 2500 manoscritti e xilografie tibetane che durante le sue numerose spedizioni nel «paese delle donne dai molti mariti» Tucci ebbe in affidamento dai monaci per salvarle dall’invasione distruttiva cinese. Negli anni antecedenti alla chiusura dell’istituto, la rarità di questa raccolta ha attirato numerosi sinologhi, venuti a Roma per studiare la collezione. Il valore della biblioteca è arricchito anche dal Fondo Dubbiosi, il Fondo Taddei, fototeche africane e tibetane, cartoteche, carte geografiche (testimoni essenziali del periodo coloniale italiano in Africa), 60.000 volumi scritti in lingue europee e asiatiche, spesso derivate da donazioni di grandi menti dell’orientalistica come Carlo Formichi (maestro di Tucci). Infine dalla sezione africana del 1906 conosciuta per essere la più antica biblioteca di studi africani d’Italia.
Purtroppo il caso IsIAO rappresenta una triste parentesi della storia italiana. Con la riapertura della biblioteca l’istituto sembra esigere il proprio riscatto difendendosi da quello che è stato un preciso assalto al mondo della ricerca scientifica e della conoscenza. Durante la cerimonia d’inaugurazione, tra il generale tripudio e i salamelecchi, l’unica voce a uscire dal coro per denunciare i fatti è stata quella di Mario Giro (vice ministro degli Affari Esteri) che ha chiaramente espresso il suo disappunto per questo lungo e disastroso processo, sottolineandone la gravità. Che il governo italiano preferisca destinare i soldi pubblici a qualunque ente purché non attinente alla ricerca è stato appurato più volte; quello dell’IsIAO è solo uno dei tanti esempi, forse uno dei più emblematici. Non resta che augurarci che questo della biblioteca sia un nuovo inizio per lo studio del mondo asiatico e africano.
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