Europa

Lisbona, il governo Coelho cede sotto i colpi dell’austerità

Lisbona, il governo Coelho cede sotto i colpi dell’austerità

Portogallo Dimissioni dei ministri delle Finanze e degli Esteri. Lascia anche il leader della Cds. La crisi politica a tre mesi dalle amministrative e dopo lo sciopero generale del 27/6

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 3 luglio 2013

Con la rapidità di un temporale estivo, nel breve volgere di un paio di giorni la situazione portoghese, dopo mesi di stallo, è repentinamente precipitata. Prima le dimissioni del ministro delle finanze Vitor Gaspar e poi, a stretto giro, quelle del ministro degli Esteri, nonché leader del Centro Democratico e Social (Cds), uno dei due partiti formanti la coalizione, Paulo Portas, sanciscono di fatto la fine del governo guidato da Pedro Passos Coelho.

Nessuno poteva prevedere che a tre mesi dalle elezioni amministrative si sarebbe aperta una crisi politica tanto profonda, questo nonostante fosse chiaro a tutti che per il governo era diventato impossibile continuare sulla strada delle politiche di austerità. La paralizzazione di tutto il paese provocata dallo sciopero generale dello scorso 27 giugno è stato solo uno dei molti segnali che lasciavano intendere come un percorso era oramai avviato sulla via del tramonto.

Certo quando l’altro ieri Gaspar ha annunciato di volere gettare la spugna la caduta a catena di tutto il governo era nell’aria, ma niente lasciava intendere che sarebbe successo con tanta rapidità. Va detto infatti che il ministro delle finanze non era un ministro qualsiasi; lui, da solo, era il perno centrale attorno al quale tutto il resto del governo girava, l’uomo garante del rispetto degli accordi stipulati tra il Portogallo, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale e l’Unione Europea. Ecco questo era il ruolo di Gaspar: quello del quadrunviro, il quarto uomo che da Lisbona difendeva più di tutti l’ortodossia monetarista tanto cara alla Buba (Bundesbank). Dopotutto il curriculum vitae dell’architetto della politica economica di questi ultimi anni parla da solo: una lunga carriera da funzionario all’interno delle istituzioni europee, prima alla Banca Centrale, poi, dal 2007, come direttore generale del Bureau of European Policy Analisys. Il Financial Times lo ha definito «un tecnocrate europeo senza esperienza politica» capace di portare avanti importanti «riforme» nonostante l’opinione contraria di un intero paese. Aspetto, questo, di cui Gaspar andava particolarmente orgoglioso tanto che durante un’audizione parlamentare, quando gli si chiedeva di rispondere del suo operato di fronte alla popolazione, rispose stizzito: «Io non sono mai stato eletto in nessunissima elezione».

Portas e Gaspar sembrano volere prendere le distanze dai risultati catastrofici del loro stesso governo, ultimo ma non ultimo l’ennesimo sforamento dei livelli di deficit che nello scorso trimestre ha raggiunto la cifra record del 10%.

Ma non solo, anche la tradizionale durezza del governo ha dovuto confrontarsi con la fermezza di professori e insegnanti decisi a bloccare la «riforma» della scuola, una capitolazione che ha scatenato una durissima reprimenda da parte della Troika. Se si comincia a cedere con qualcuno, hanno scritto i tecnici di Fmi, Ue e Bce, poi si deve cedere con tutti e diventa impossibile tagliare i 4,8 miliardi necessari per raggiungere gli obiettivi di bilancio.

Insomma il fallimento del governo Coelho è stato totale, e su questo non c’è dubbio, sia da un punto di vista economico che del consenso, tuttavia se non ci fossero stati la Cgtp, il Partido Comunista Portugues, il Bloco de Esquerda e il movimento Que se Lixe a Troika che in questi anni hanno mantenuto accesa la coscienza di un intero paese il risultato non sarebbe stato lo stesso. Una lotta, quella portata avanti dalle sinistre, che è stata estremamente efficace, senza troppi incidenti inutili, ma radicale e capillare. «Grandola», la canzone di José Afonso che aveva dato il là alla rivoluzione dei Garofani, era stata cantata dal loggione del parlamento, simbolo di una lotta che, pur mantenendosi su un registro pacifico, aveva dimostrato tutta la sua determinatezza.

Una rete che è riuscita a imbrigliare le politiche del governo, evitando, il più possibile, battaglie frontali e costringendolo a un lento logoramento. Ora questa battaglia è stata vinta, qui in Portogallo tutti sono convinti che nessuno accetterà più ulteriori tagli. Purtroppo però non tutto è deciso a Lisbona e bisognerà vedere come si reagirà a Berlino, Bruxelles, Francoforte e Washington ora che il pupillo della finanza è stato costretto ad andarsene.

I segnali, al momento, sono poco incoraggianti, il prossimo 15 luglio i rappresentanti di Fmi, Bce e Ue saranno in Portogallo per capire se dare via libera oppure no all’ottava tranche del finanziamento. Senza quei soldi tutto crolla e per avere quei soldi occorre tagliare: difficile trovare una via di uscita. La Grecia insegna che la Troika è molto permalosa e tanto vendicativa così, nonostante tutto, la voglia di festeggiare è davvero poca e qui ci si chiede con preoccupazione: e ora cosa succederà?

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento