Cultura

L’Irlanda dei grandi narratori

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Scaffale Yeats, Joyce, Beckett, O'Connor: un collage di scrittori per raccontare «L'isola che scompare». Mappa per un viaggio letterario secondo Fabrizio Pasinisi

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 2 gennaio 2015

Come conoscere davvero l’Irlanda? Come entrare appieno nel mistero di una terra carica di contraddizioni, ad un tempo così povera da aver contribuito ad alcune delle maggiori ondate migratorie mai partite dal suolo europeo – al pari del nostro paese – e allo stesso modo così ricca da aver impresso, ben al di là delle sue proporzioni politiche o geografiche, un’impronta indelebile nella cultura internazionale?

Giornalista, romanziere e traduttore, con il suo L’isola che scompare (Nutrimenti, pp. 240, euro 18), Fabrizio Pasanisi indica come unica chiave possibile quella di capire il mondo irlandese attraverso la sua letteratura. E propone di percorrere l’isola di smeraldo facendosi guidare da una mappa bizzarra, che svela il paese con le pagine e le biografie dei maggiori autori irlandesi. Da Cork a Sligo, dal sud al nord dell’isola, passando per le isole Aran e naturalmente per Dublino, il viaggio si compie nella consapevolezza che la tradizione irlandese trovi la sua autentica dimensione nell’opera narrativa, nell’artificio letterario, nella contraddittorietà dell’esperienza intellettuale. Sul punto, Pasanisi è netto: «L’Irlanda moderna è andata ben oltre la propria tradizione, così come James Joyce è andato oltre il romanzo. Spostandosi all’interno di questo paese ci si rende conto, piano piano, che il passato, inteso come storia, quello importante, quello che incide in modo indelebile sull’evoluzione dei tempi, non conta molto». Né castelli in rovina né croci celtiche coperte di muschio, quanto piuttosto la «visione» che fu di «Oscar Wilde, irlandese fino al midollo, scanzonato fino allo scandalo» o di «George Bernard Shaw, caustico e acuto». E poi, via via, fino «al sublime William B. Yeats, la cui voce risuona come un’eco da Nord a Sud, tra paesaggi, giochi, magie, memorie, sempre incanti…; a James Joyce, soprattutto Joyce, e a Samuel Beckett, l’ultimo degli immensi, i cui silenzi valgono spesso più di qualsiasi parola». Fino a quel Joseph O’Connor che ha saputo descrivere con ironia anche le ferite della guerra nel nord dell’isola, oltre all’ascesa e alla caduta della «tigre celtica».

Se sono l’opera e la vita di Joyce e Yeats a costituire il filo conduttore di questo viaggio irlandese, è proprio alle parole di O’Connor che Pasanisi fa spesso ricorso per far comprendere il rapporto tra questo paese e la letteratura. «Nelle altre nazioni gli scrittori vengono letti, in Irlanda vengono celebrati», confida così l’autore di Cowboys & Indians accompagnando il lettore verso l’approdo simbolico che svela il senso ultimo dell’intera ricerca. Quella festa del Bloomsday, celebrata il 16 giugno, in cui la capitale d’Irlanda e l’intera isola celebrano il protagonista dell’opera più nota di James Joyce, il Leopold Bloom dell’Ulisse. «Se riesco a raggiungere il cuore di Dublino, riesco a raggiungere il cuore di tutte le città del mondo», scriveva lungimirante Joyce: L’isola che scompare ci aiuta a capire perché aveva ragione.

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