Cultura

L’Iran visto dietro un cancello

Narrativa «Il giardino persiano» di Chiara Mezzalama per Edizioni e/o

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 22 luglio 2015

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Storia e letteratura si incontrano spesso dentro le pagine di un libro. A volte succede che si incrocino fuori. Che si sovrappongano o chiudano un cerchio. Il cerchio della rivoluzione khomenista pare completarsi nel libro di Chiara Mezzalama Il Giardino Persiano (edizioni e/o, pp. 208, euro 17). Tra quelle righe l’Iran si trasformava, non senza contraddizioni, nella Repubblica Islamica e individuava il suo nemico, il Grande Satana statunitense. Oggi, firma a Vienna l’accordo di un disgelo storico. Lì, a Vienna, finisce il libro della Mezzalama.

Una storia personale, privata, di relazioni familiari, di dubbi di bambina che si scontrano con i primi turbamenti dell’adolescenza. Una storia di curiosità e dolori che ha come palcoscenico uno degli eventi più sconvolgenti del XX secolo: la cacciata dello scià Reza Pahlavi e la rivoluzione dell’Ayatollah Khomeini.

Un’estate indimenticabile

Figlia dell’ambasciatore-poeta Francesco Mezzalama, inviato a Teheran negli anni della rivolta, Chiara e i suoi nove anni sbirciano l’Iran in trasformazione dal buco della serratura. O meglio, dalle grate del cancello in fondo al giardino della casa di Falamieh, residenza estiva destinata alla famiglia dell’ambasciatore d’Italia.

Qui, tra la casa celeste e il giardino persiano a cui la madre dedica le attenzioni forzatamente tolte al resto del mondo, Chiara e suo fratello Paolo trascorrono un’estate indimenticabile. Per quanto forte sia lo sforzo di comprendere la vita fuori (quella dei «bambini di guerra» contrapposti a loro, «bambini d’ambasciata»), il popolo iraniano resta ermeticamente chiuso all’esterno, evocato dalle paure (l’Ayatollah Khomeini, il suo anello punitore, l’occhio che tutto vede e tutto sa), dalla curiosità inevasa (gli occhi di kajal delle donne in chador, gli odori del bazar, la lingua incomprensibile del piccolo Massoud) e dal senso di una colpa che non può essere espiata.

L’Iran fuori dalla casa celeste, oasi che la rivoluzione tenta di violare senza riuscirci, diventa agli occhi di Chiara oggetto di invidia: lo vuole conoscere, sviscerare, come vorrebbe fare la madre, evitare facili orientalismi. Ma ne vorrebbe anche far parte perché forte è la tentazione di trasformarsi da bambina stretta nelle odiate scarpe eleganti in bambina con i sandali rotti ai piedi.

Il racconto scorre rapido, morbido e incalzante, nonostante la lentezza dei tempi e l’immobilità dei luoghi narrati. E l’Iran dei pasdaran, immaginati dai bambini come esseri crudeli che odiano l’allegria, resta sullo sfondo, quasi una giustificazione per riempire pagine di rapporti familiari, legami fraterni e dubbi pre-adolescenziali. Il giardino persiano diventa una sorta di colorato e profumato lettino di psicanalista, dove la Mezzalama scopre la madre, il padre, se stessa e i suoi progetti futuri. Con un occhio sempre attento alla femminilità intrinseca che l’Iran esprime, dagli occhi penetranti delle donne velate alle recriminazioni della madre per un’estate d’isolamento, dalla cartolina con la bambina iraniana che stringe un kalashnikov ai brividi provati alla notizia di una lapidazione in piazza.

I facili stereotipi

Femminismo, letteratura, occidentalismo contrapposto a orientalismo, rapporti umani: questi gli ingredienti di un libro che osserva. Il merito de Il Giardino Persiano è il dipingere un affresco, concedere al lettore l’occasione di incamminarsi dentro l’Iran della rivoluzione, partendo dal facile stereotipo della Teheran città-mostro per arrivare finalmente a destinazione: la scoperta della vita quotidiana dietro la Storia, la vita che va avanti nei suoi gesti comuni in parallelo allo scorrere degli eventi politici. Perché anche nella Teheran degli Ayatollah ci si sposa, si amano i gatti e si coltivano i giardini, si prepara il pane e si va al mercato, si stende la biancheria fuori e ci si trucca di nascosto dai genitori.

Resta, tra le righe, una voluta incomprensione di quella vita, visibile nella lettura che il padre ambasciatore dà del paese: a metà tra la tendenza orientalista in voga in Occidente (quella che cerca nel passato della Persia un tesoro ormai calpestato, come il padre cerca nei bazar ori e tappeti) e la lontananza dal popolo che quelle terre abita.

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