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L’Iran smentisce il dialogo con gli Usa. Ma solo in pubblico

L’Iran smentisce il dialogo con gli Usa. Ma solo in pubblicoIl ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif – Lapresse

Nucleare Tehran insiste sulla revoca delle sanzioni varate da Donald Trump in vista dell'incontro della prossima settimana a Vienna sul rilancio dell'accordo sul suo programma nucleare.

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 4 aprile 2021

La Francia continua a premere sull’Iran. Il ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian riferiva ieri di aver insistito con il suo omologo iraniano Mohammad Javad Zarif affinché Tehran non violi più l’accordo Jcpoa del 2015 e mostri un atteggiamento «costruttivo» durante i colloqui sul suo programma nucleare previsti la prossima settimana a Vienna. Solo in quel modo, ha spiegato, si potrà arrivare a un «accordo rapido». In Iran la vedono in modo diverso. La Repubblica islamica ricorda che è stato Donald Trump nel 2018 a stracciare il Jcpoa e a varare sanzioni economiche e politiche nei suoi confronti. E ribadisce che solo la revoca immediata di quelle sanzioni può favorire il successo dei colloqui.

«Non stiamo considerando la possibilità di un piano graduale», ha detto perentorio Saeed Khatibzadeh parlando ieri con Press Tv. Qualche ora prima il vice ministro degli esteri, Abbas Araghchi, era stato categorico affermando che «l’Iran non terrà alcun negoziato con gli Usa, né direttamente né indirettamente…Avremo colloqui solo con il gruppo dei 4+1, cioè Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia e Cina ma questi membri possono parlare con qualsiasi altro Paese in qualsiasi modo vogliano». E ha sottolineato che «il prossimo passo deve essere la rimozione delle sanzioni da parte degli Stati Uniti». Araghchi ha reagito così all’annuncio giunto dai paesi del 4+1 della presenza a Vienna anche di una delegazione degli Usa. Ma dietro l’inflessibilità delle dichiarazioni ufficiali, si cela il forte interesse di Tehran per una intesa con gli Usa. A patto che l’Amministrazione Biden non richieda all’Iran, per rientrare nell’accordo del 2015, di rispettare le nuove pesanti condizioni ai piani di sviluppo militare che dietro le quinte invocano Israele e Arabia saudita.

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