Cultura

L’Iran resistente e che spezza il respiro delle artiste

L’Iran resistente e che spezza il respiro delle artisteFarideh Lashai, «Keep Your Interior Empty of Food»

MUSEO DI SANTA GIULIA DI BRESCIA La collettiva «Finché non saremo libere», visitabile fino al 28 gennaio 2024

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 15 dicembre 2023

È l’esplorazione di contesti geo-politici in cui la condizione femminile è minacciata da prevaricazioni e fondamentalismi, il trait d’union che unisce le opere raccolte nella collettiva Finché non saremo libere, ospitata al Museo di Santa Giulia di Brescia e visitabile fino al 28 gennaio 2024. Il titolo della rassegna è significativo. È una declinazione al femminile del libro Finché non saremo liberi. Iran la mia lotta per i diritti umani della giurista e attivista iraniana Shirin Ebadi, a cui è stato assegnato il Premio Nobel per la pace nel 2003. L’Iran è infatti fortemente presente in mostra, perché oltre alle opere di importanti artiste internazionali, la curatrice Ilaria Bernardi ha selezionato le opere di Shirin Neshat, Soudeh Davoud, Zoya Shokoohi, Farideh Lashai e Sonia Balassanian.

LASHAI, nata nel 1944 e morta nel 2013, ha sempre indagato le condizioni socio-politiche dell’Iran. L’installazione presente in mostra è Rabbit in Wonderland, il suo più importante ciclo di opere. Su dipinti dai toni lugubri sono proiettati dei conigli bianchi animati, da lei chiamati «conigli vulnerabili», che entrano ed escono dalla tela. Rappresentano la popolazione civile, impotente di fronte all’abuso di potere della classe politica. «Come per la tana del coniglio del romanzo di Lewis Carroll – ha affermato l’artista – per capire l’Iran bisogna scavare e scavare. Perché tutto è sottosopra».

SONIA BALASSANIAN come Lashai è stata un’attivista, che declinava il suo impegno politico in video-installazioni, disegni, poesie, opere calligrafiche e pittoriche. Nata a Arak nel 1942, all’inizio della sua carriera realizzava opere astratte che non erano né scrittura né disegno, ma entrambe. Dopo essersi trasferita a New York e in seguito alla rivoluzione iraniana, il suo lavoro assume una maggiore connotazione sociale. L’opera esposta è Hostages: A Diary (1980), in cui l’artista disegna il suo viso coperto di bende, come venivano presentati diplomatici e funzionari americani tenuti in ostaggio durante l’occupazione dell’ambasciata statunitense a Teheran. È come se tracciasse la genealogia dell’attuale situazione femminile in Iran, che inizia con la rivoluzione del 1979.

Nata come movimento pluralista, la rivoluzione è stata in seguito monopolizzata da fazioni anti libertarie e religiose, con forti prevaricazioni nei confronti delle minoranze e in particolare delle donne. Le opere di Balassanian e Lashai sono state esposte in prestigiose esposizioni e collezioni internazionali.
La mostra si chiude con l’installazione della giovane Zoya Shokoohi che invita i visitatori a racchiudere i propri respiri in contenitori di vetro. L’invito è una metafora della condizione in cui si trovano le donne iraniane, quando la paura e lo sconforto sono così paralizzanti da togliere il respiro.

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