L’ira del Quirinale sugli emendamenti
Senato Solo tre le proposte di modifica esaminate in aula. Renzi furioso chiede l’aiuto di Napolitano, che in serata convoca il presidente di Palazzo Madama e poi denuncia il «grave danno a una riforma essenziale»
Senato Solo tre le proposte di modifica esaminate in aula. Renzi furioso chiede l’aiuto di Napolitano, che in serata convoca il presidente di Palazzo Madama e poi denuncia il «grave danno a una riforma essenziale»
La riforma va a rilentissimo. Tre emendamenti in una intera giornata di lavoro. In più, il presidente del Senato Grasso ha accolto (parzialmente) la richiesta di voto segreto per una parte degli emendamenti. Renzi è furioso e chiede aiuto a Napolitano. Che si presta. A sera, dopo un colloquio con Grasso sul Colle, sottolinea ufficialmente «il grave danno che recherebbe al prestigio e alla credibilità dell’istituzione parlamentare il prodursi di una paralisi decisionale su un processo di riforma essenziale». E’ un semaforo verde, anzi una decisa spinta, sulla strada di misure draconiane, come la ghigliottina. La stessa richiesta che poche ore prima, in aula, avevano avanzato, esasperati e furibondi, Zanda e Casini. L’enormità di un guardiano della Carta che invita a usare la ghigliottina nel riformarla non si era ancora vista, neppure in Italia.
Anche ieri, come fa da mesi, il presidente del consiglio aveva battuto sul tasto del tentativo di bloccare la riforma solo per difendere lo status quo. In realtà, come hanno illustrato ieri al capo dello Stato il presidente Vendola e i capigruppo di Sel Scotto e De Petris, l’ostruzionismo è una conseguenza dell’atteggiamento intransigente e chiuso anche alle modifiche più ragionevoli deciso da Renzi e dalla ministra Boschi. Una chiusura totale dettata molto più dalla ricerca di una vittoria campale strappata con le cattive che dal desiderio di render più efficiente la Costituzione.
Ma l’ira di Renzi non si deve solo all’ostruzionismo che lo costringe a procedere a passo di lumaca. Ancor più irritante è il fatto che il presidente del Senato Pietro Grasso, a sorpresa, abbia parzialmente accolto la richiesta di voto segreto che era stata avanzata per ben 920 emendamenti. E’ una decisione che non incide neppur minimamente sui tempi di approvazione della riforma, ma che espone il governo a rischio di agguati da parte dei moltissimi senatori, di Fi, del Pd e anche del Ncd, che sostengono la riforma per ricatto e non per convinzione. Sono moltissimi, e nessuno lo sa meglio di Matteo Renzi. Per ora Grasso ha solo indicato gli argomenti per i quali il voto segreto è ammissibile: quelli che riguardano la tutela delle minoranze e quelli che trattano dei diritti di libertà. Bocciata invece la richiesta per gli emendamenti sull’iter delle leggi. In concreto potranno essere votati segretamente gli emendamenti all’art. 1 (e in parte al 2), che riguardano le modalità di elezione delle camere, e all’art.18, che regola amnistia e indulto. Non quelli all’art.10, che di fatto elenca le competenze del nuovo Senato. Ma per quali in particolare verrà concesso il voto segreto lo si chiarirà in corso d’opera.
L’ira del Pd esplode apertamente, in aula, con il capogruppo Zanda che, quasi paonazzo, segnala il suo assoluto disaccordo con la decisione di Grasso. Quella di Renzi invece trapela dal chiuso di palazzo Chigi, ma il velocista è ancor più furente del suo capogruppo. La scelta, però, non piomba del tutto a sorpresa sul Pd. Quando, a metà mattinata, arriva alla riunione della Giunta per il regolamento, convocato con funzione consultiva da Grasso, Zanda è già tutt’altro che ottimista. Il presidente deve decidere sulla richiesta di voto segreto avanzata a proposito di una marea di emendamenti: ben 920, «una cosa mai vista», come chioserà più tardi in aula. Tutti sono convinti che il presidente taglierà corto negando in radice il ricorso al voto segreto. Ma Zanda e la presidente della Commissione Affari costituzionali Anna Finocchiaro non sono tranquilli. In privato confessano le loro paure: «Grasso è contrario a questa riforma, lo ha detto chiaramente». Da lui ci si può aspettare di tutto.
L’umor cupo diventa ancora più nero quando il presidente apre la riunione sfoderando una cartellina che distribuisce ai convenuti. E’ la raccolta di tutti gli emendamenti sui quali, nei precedenti tentativi di riforma costituzionale e in particolare in quello del governo Berlusconi del 2005, è stato concesso il voto segreto. Una mossa che abbatte di colpo la principale argomentazione del Pd, secondo cui in materia di riforme costituzionali non ci sarebbero mai stati voti segreti.
La maggioranza dei presenti prende la parola contro la temuta richiesta: tutti i capigruppo di maggioranza più Fi. A difendere la richiesta restano Sel e il M5S, ma hanno argomenti regolamentari solidi. Quando si tratta di tutela delle minoranze o di questioni inerenti ai diritti di libertà, affermano regolamenti alla mano, il voto segreto è doveroso. A metà riunione entra in campo, con i soliti modi sbrigativi e autoritari che peraltro gli stanno solo rendendo la via più difficile, Matteo Renzi. Dirama un comunicato che dice la cosa sbagliata e al momento sbagliato: «I frenatori potranno fare qualche scherzetto col voto segreto, ma poi andremo alla Camera e risistemeremo le cose». Difficile immaginare una manifestazione più impudica di spocchioso disprezzo per il Parlamento, ma difficile anche immaginare una formula per un presidente del Senato più indisponente.
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