L’ipocrisia occidentale e i nostri dati
Sorveglianza di massa Siamo stati abituati a sentirci raccontare che a spiare sono i cinesi e per lo più le «piattaforme», le grandi protagoniste del «capitalismo di sorveglianza», come se gli Stati occidentali, invece, non lo facessero
Sorveglianza di massa Siamo stati abituati a sentirci raccontare che a spiare sono i cinesi e per lo più le «piattaforme», le grandi protagoniste del «capitalismo di sorveglianza», come se gli Stati occidentali, invece, non lo facessero
Se provaste a cercare su un qualsiasi motore di ricerca informazioni su spionaggi e sorveglianza di Stato, è quasi certo che arrivereste su pagine che descrivono i meccanismi securitari della Cina o le operazioni – talvolta spregiudicate – degli ormai celebri hacker russi.
Si tratta di due realtà che nessuno nega: Cina e Russia da tempo dedicano attenzione e risorse al controllo dei propri cittadini e al tentativo di irrompere in sistemi di sicurezza altrui.
Solo che per quanto riguarda la Cina, ad esempio, sul fronte «esterno» di prove non ne ha mai fornito nessuno (neppure gli Usa che sulle accuse di spionaggio alla Huawei hanno costruito le attuali traiettorie geopolitiche). Questo è un primo aspetto: la narrazione dell’era Biden, con la quale gli Usa provano a tornare alla testa dei propri alleati che si erano un po’ persi durante gli anni di Trump, si basa proprio su questo assunto: non potete fidarvi della Cina perché tutti i cinesi sono spioni o sono al soldo del partito comunista (un leit motiv ripreso anche da media italiani ogni volta che si presenta l’occasione).
Solo che su Biden, vice presidente all’epoca dell’ennesimo scandalo aperto sull’abitudine americana a spiare anche i propri alleati, si sprecano meno inchiostro e meno «inchieste» con l’eccezione dei media che hanno tirato fuori l’ennesimo rivolo delle tanti rivelazioni di Snowden, trattato come un appestato dalla stampa di mezzo mondo perché rivelò – con tanto di prove e non solo sospetti – le metodologie di sorveglianza di massa degli Usa. Ma non è solo questo che le ultime rivelazioni ci consegnano: siamo abituati a sentirci raccontare che a spiare sono i cinesi e per lo più le «piattaforme», le grandi protagoniste del «capitalismo di sorveglianza».
Anche in questo caso non si può certo negare la capacità «estrattiva» delle aziende tech, che utilizzano i nostri dati in funzione – anche, potenzialmente – di controllo. Ma ben poco si dice degli Stati e degli ingenti acquisti di sistemi per il riconoscimento facciale, un business nel quale nonostante il protagonismo cinese dominano ancora gli americani. In questo senso, infine, va in crisi anche la posizione di chi ritiene che questi strumenti dovrebbero essere statali: lo sono già.
Semplicemente se ne parla poco o si tende a evidenziare il percorso inquietante e innegabile di posti lontani (la Cina) senza accorgerci che anche qui in Occidente siamo sorvegliati: dalle aziende e dagli Stati. A meno che non si ritengano gli odierni strumenti di sorveglianza in mano alle polizie occidentali – che già usano modelli predittivi con tutti i bias più volte messi in evidenza da esperti e organizzazioni non governative – operanti in un mondo altro e non – invece – nel nostro.
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