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L’invito alla delazione, l’ultima ciliegina sulla democrazia del clic

Movimento Cinque Stelle Una democrazia senza mediazioni e senza luoghi fisici di confronto interattivo, senza partiti e senza giornali, domani anche senza parlamento. Una democrazia del capo comunicatore e del suo rapporto diretto con le masse via social

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 13 dicembre 2018

Circa un quarto di secolo fa l’apparizione del demiurgo di Arcore rivelò e fece precipitare la crisi della democrazia liberale rappresentativa, anticipando un trend che ha poi attraversato tutto l’Occidente e che oggi esplode con modalità impreviste.

Le vecchie forme di quella democrazia, a cominciare dai partiti ideologici territoriali fortemente strutturati, si sono logorate e poi estinte, senza che si affacciassero nuovi, validi modelli sostituivi. Ciò è vero sia per il sistema politico in generale sia per le singole forze politiche che lo compongono.

Prendiamo il caso italiano e soffermiamoci sull’esempio dei 5 Stelle. Il movimento 5S è in realtà un partito a struttura piramidale, una specie di chiesa o di ordine combattente in cui l’assenza totale di democrazia interna è coperta dal richiamo a un illusorio simulacro di democrazia diretta digitale. La sua struttura operativa consta innanzitutto di un demiurgo-oracolo che lancia proclami, benedizioni e anatemi insindacabili mascherandosi dietro la veste del comico nel cui eloquio il serio e il faceto, il vero e il falso sono intercambiabili e ogni forma di violenza verbale e di volgarità, generalmente stigmatizzata nel linguaggio dei politici, viene invece data per ammissibile.

In secondo luogo dispone di un operatore informatico che si muove in maniera occulta, proprietario di un’azienda privata di cui si ignora quasi tutto e che funge da collettore dei versamenti coatti dei deputati eletti, che dispone delle piattaforme grazie alle quali un insignificante numero di aderenti, consultati in tempi e modi sconosciuti, manifesta le sue preferenze su opzioni formulate dall’alto, convinto di prendere decisioni che non prende e che sono in ogni caso revocabili. Vi è poi un capo che deve al demiurgo la sua investitura e all’operatore occulto la sua ratifica informatica, che agisce senza consultarsi con nessun organo costituito in modo trasparente, salvo le assemblee dei parlamentari che dipendono in gran parte da lui e dall’operatore informatico per la loro sorte presente e futura.

La disciplina interna perinde ac cadaver viene assicurata tramite la pratica della delazione – sempre tramite il buco nero controllato dall’eminenza grigia informatica – degli aderenti che siano sorpresi a violare le regole ferree della setta (si veda l’appello in tal senso comparso ieri sul blog pentastellato).
A questi “organi” si deve infine aggiungere un affabulatore seriale il quale, parlando da un ritiro esotico dal quale si materializza periodicamente – esibendo la stessa loquacità inconcludente che caratterizzò i personaggi della trasmissione televisiva nella quale si è svolta la sua formazione politica – emette sentenze e previsioni aventi lo scopo di colpire la fantasia dei seguaci mostrando loro il lato virtuale del movimento stesso, quello che rimarrebbe malgrado le apparenze ovvero quello che potrebbe essere o diventare in futuro, evitando l’erosione della platea dei consensi di fronte alle prove di inconcludenza.

Cosa abbia a che fare questa pantomima con la democrazia interna, non importa se diretta o indiretta, rimane un mistero. E questo mistero, questo stile oracolare, questo occultismo prontamente sostituito, dagli apprendisti stregoni non appena giunti al potere, alla trasparenza dello streaming proclamata fino a quel momento, costituisce un problema serio. Tra i tanti angosciosi interrogativi che pesano sulla vita politica italiana, questo è anzi uno dei più preoccupanti, indipendentemente da quel che si possa pensare sul merito delle proposte e delle realizzazioni dei 5S che sono diverse, non tutte criticabili né tutte esecrabili come lo sono semmai generalmente quelle dei loro partner di governo. E sono un problema serio perché non si tratta di semplici incidenti di percorso o di inconvenienti dell’impetuosa crescita, ma di altrettante esemplificazioni di un modello teorizzato e spacciato appunto per la democrazia del futuro.

Non si fa fatica a rintracciarne i presupposti e le radici, del resto simili a quelle da altri praticate senza teorizzarle, magari con meno enfasi sulla comunicazione via web. Siamo nel modello della società liquida frantumata in individui isolati, nella quale il contatto virtuale si sostituisce alle altre forme della socializzazione e delle relazioni interpersonali.

Una democrazia senza mediazioni e senza luoghi fisici di confronto interattivo, senza partiti e senza giornali, domani anche senza parlamento. Una democrazia del capo comunicatore e del suo rapporto diretto con le masse via social. Una democrazia a senso unico, dall’alto verso il basso anche se mistificata come dal basso verso l’alto. Chiamiamola democrazia plebiscitaria, o democrazia referendaria, in cui il referendum non solo abrogativo ma propositivo e senza quorum rinforza la dittatura della maggioranza anziché garantire uno spazio supplementare per le minoranze. Una democrazia del clic istantaneo, modellata sulla struttura binaria del computer, del mi piace o non mi piace, in cui il dubbio umanistico non ha più dimora, in cui la mia rabbia qui e ora, il mio odio e il mio risentimento contro le élite o contro lo straniero può trasformarsi pronta cassa in legge e ordine e divenire azione col linciaggio di una ladruncola. Il passato è passato, ma è questo il nostro futuro?

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