Unbroken, l’invincibile patriota
Al cinema La storia di Zamperini, mezzofondista olimpico ed eroe di guerra riletta da Angelina Jolie in «Unbroken». La regista dispiega tutto il manuale del genere, ma la scrittura e i personaggi risultano puro stereotipo
Al cinema La storia di Zamperini, mezzofondista olimpico ed eroe di guerra riletta da Angelina Jolie in «Unbroken». La regista dispiega tutto il manuale del genere, ma la scrittura e i personaggi risultano puro stereotipo
Le polemiche pre-Oscar in America lo hanno da subito eletto come uno degli oggetti privilegiati intorno ai quali scatenarsi. Del resto Unbroken, seconda prova alla regia di Angelina Jolie presenta tutte le caratteristiche giuste: affronta i grandi temi a partire da una storia «vera», che sembra essere la tendenza dominante di questa stagione, e soprattutto è girato da una donna. L’Academy però non lo ha considerato, almeno per le categorie principali e tanto basta a riaprire questioni, peraltro giustissime, come la mancanza di registe sul tappeto rosso degli Oscar ma che in questo caso sembrano davvero oziose. Unbroken infatti è semplicemente un film più che modesto (e il gender non c’entra), nonostante i mezzi dispiegati dalla potentissima attrice/regista che è riuscita a mettere insieme nomi di alto livello. La sceneggiatura è firmata da Ethan e Joel Coen insieme a Richard LaGravenese (I Ponti di Madison County) e la fotografia è di un grande come Roger Deakins (che ha avuto la nomination) con i Coen per Fratello, dove sei? e Non è un paese per vecchi.
La storia, si diceva, è vera non proprio un biopic ma quasi, e racconta la vicenda di Louis Zamperini, italoamericano, campione nei 5000 metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936, arruolato nell’aviazione Usa allo scoppio della Seconda guerra mondiale, scomparso nel Pacifico, creduto morto e infine dopo anni di prigionia nelle mani dei giapponesi tornato a casa.
Figlio di immigrati, povero, magrolino, da ragazzino Zamperini ha una vita dura, preso di mira dai compagni finché non scopre di avere un talento speciale: la corsa. Arriva dunque alle Olimpiadi e forse sono i sacrifici degli allenamenti e quelle prove di resistenza infantili a dargli dopo la forza di sopravvivere, a renderlo come dice il titolo del film «Invincibile».
Difatti quando insieme ai suoi due compagni precipita nel Pacifico durante un’operazione di salvataggio a bordo del suo B-24, Zamperini resiste per quarantasette giorni in mezzo all’Oceano nonostante la sete, il sole, la fame (si nutrivano di pesce crudo), gli attacchi delle mitragliatrici del Sol Levante. Finché i due rimasti in vita (uno non ce la fa) vengono fatti prigionieri dai giapponesi, e per Zamperini (è Jack O’Connell) inizia una nuova prova durissima: la prigionia nei campi in Giappone dove subisce le torture più efferate, la follia violenta di un carceriere che lo ha eletto a sua vittima prediletta, il ricatto – «Parli all’America alla radio o ti rimandiamo al campo…». Due anni che lo devastano e quando finalmente torna a casa è distrutto, è un «sopravvissuto la sua autobiografia, e ricominciare è molto difficile.
Jolie tocca un po’ tutti generi dispiegando l’intero manuale del film bellico con riferimenti espliciti – l’inizio alla Momenti di gloria , la prigionia con Furyo, il capolavoro di Oshima, e Zamperini e l’aguzzino giapponese che «ricalcano» ma molto alla lontana Sakamoto e Bowie. Poi i film dei reduci alcolizzati e con turbe, la redenzione in Dio nell’America dei predicatori. All’origine c’è il libro di Laura Hillenbrand (Mondadori) dedicato a Zamperini, Sono ancora un uomo. Una storia epica di resistenza e coraggio, ma l’impressione è che Jolie (e purtroppo gli sceneggiatori) non vi aggiungano nulla di personale. Non c’è alcun margine di ambiguità nella scrittura dei personaggi che anzi ricalcano grossolanamente lo stereotipo buoni (Zamperini)/cattivi (tutti i giapponesi orribili psicopatici) con la stessa retorica che dominava la precedente prova della regista – In the Land of Blood and Honey, lì era la guerra di Bosnia in una impossibile storia d’amore.
Visto il tema, la guerra e il Giappone, è impossibile non pensare ai due film di Eastwood, Flags of our Fathers e Letters of Iwo Jima, in cui il regista raccontava la battaglia di Iwo Jima dalle due parti, quella americana e quella giapponese in una dimensione epica del nemico nel reciproco rispetto. Qui invece domina il patriottismo più scadente, quello da propaganda che se si muta il contesto è facile applicare al presente, che autocelebra l’eroismo, la resistenza dei valori americani e il perdono contro il nemico selvaggio. Magari chi si indigna davanti a American sniper potrà sentirsi rassicurato.
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