L’invasione francese tra reale e immaginario
Cannes 68 Si rafforza la presenza transalpina al festival con 13 film. Un’industria ricca quella del cinema grazie anche ai proventi della tassazione sull’audiovideo
Cannes 68 Si rafforza la presenza transalpina al festival con 13 film. Un’industria ricca quella del cinema grazie anche ai proventi della tassazione sull’audiovideo
Un po’ di cifre. Quest’anno, al festival di Cannes, 19 lungometraggi concorrono per la palma d’oro, 19 per il premio Un certain regard, 16 nella Quinzaine des réalisateurs, 7 alla Semaine de la critique. Il totale fa 54. Di questi, 13, vale a dire più di un quinto, sono francesi. E sarà un film francese ad aprire tutte le principali sezioni (con l’eccezione di Un Certain regard). Contando i film fuori concorso e i corti il rapporto sale a un quarto del totale. È molto? È troppo ? Prima di averli visti, è meglio tacere. Però si può dire che la presenza massiccia di titoli francesi è una tendenza che si è andata rafforzando in questi ultimi anni sulla Croisette. Mentre ogni altra industria francese arranca nella crisi, la produzione cinematografica gode di ottima salute – spinta dal sistema di redistribuzione delle ricette (bestia nera dei liberisti della UE) che tassando le piattaforme di distribuzione audiovideo (cinema, televisione, internet) riversa sul cinema circa due miliardi di euro l’anno. Ma l’effervescenza dell’industria non implica ipso facto che il festival di Cannes sia obbligato a selezionarne così tanti, né a metterli così in avanti.
Quali sono questi film? Commentando a caldo l’annuncio della selezione ufficiale, avevamo già speso qualche parola sui quattro autori che concorrono per la palma d’oro: Audiard, Donzelli, Maïwen, Brizé. A questi, nel frattempo, si è aggiunto Guillayme Nicloux. Nicloux è conosciuto sia come romanziere che come regista (nel 2012, lo si ricorderà, aveva presentato a Berlino un nuovo adattamento de La Religieuse di Diderot, dopo quello di Rivette che nel 1966 fece gran scandalo. Non sappiamo come sarà Valley of Love, ma a Nicloux va un premio per aver riportato alla Croisette una delle coppie più belle del cinema francese, del cinema di sempre: Gérard Dépardieu et Isabelle Huppert (in Loulou di Pialat, Cannes nel 1980).
Ci eravamo sorpresi dell’assenza del film di Arnauld Desplechin in competizione che finalmente ha trovato posto presso la concorrenza, alla Quinzaine des réalisateurs. Annunciando il colpaccio, il direttore, Eduard Waintrop, lo ha definito «il più emozionante dei film di Desplechin». Ora, i film di Desplechin sono sempre molto cervellotici, raramente emozionanti. Per darne un’idea, si potrebbe pensare al primo Moretti. Alcune ossessioni sono simili: quella della psicologia per esempio. Altre no. Trois souvenirs de ma jeunesse è la storia di uno smemorato, Paul Dedalus, che come il Michele Apicella di Palombella Rossa è un personaggio ricorrente, uno strano alter ego del regista che Desplechin aveva introdotto nel 1994 con uno dei suoi film più noti: Comment je me suis disputé, ma vie sexuelle. In genere, l’aggettivo « emozionante» sa di slogan pubblicitario e, per lo più, promette male. Ma, se vuol dire che a Desplechin è riuscita una svolta pascaliana, dalla razionalità all’intuizione, allora si tratta di una buona notizia. Vedremo.
Seulement, si fa per dire, due film francesi in competizione alla Semaine de la critique, che di solito ha una politica abbastanza attenta alla produzione nazionale. Il nuovo corso è incarnato candidamente dal manifesto dove una giovane donna si slancia in un abbraccio aperto al mondo intero. I due titoli sono: Jeunesse des loups-garous di Yann Delattre e La Fin du dragon di Marina Diaby. L’accostamento produce un chiasmo che si ritrova anche negli intrecci, il primo confronta il sentimento amoroso alla crudeltà dell’esistenza, l’altro mescola l’ordinario all’insolito con un tocco burlesco. Ma se due vi sembran pochi, ecco che un altro film francese (fuori concorso) è stato scelto per aprire le danze. Si tratta di Les Anarchistes d’Eli Wajeman e se ne dice un gran bene. Tra le «séances spéciales» troviamo un lungometraggio di Louis Garrel che, ripropone in formato lungo il fortunato trio del corto La règle des trois (accanto a L.G., Vincent Macaigne et Golshifteh Farahani).
Al computo dei film francesi, abbiamo omesso una sezione che non poteva entrare nel calcolo perché la selezione è costituita per forza di cose quasi interamente da film francesi (o coprodotti con la Francia) : stiamo parlando dell’ACID (Associazione del Cinema Indipendente per la sua Diffusione). Il programma è deciso da cineasti i cui film sono stati mostrati nelle passate edizioni e i quali sponsorizzano a loro volta dei films, per lo più prime opere senza distributore. Questo rende l’ACID una selezione estremamente fragile, piuttosto ineguale ma anche molto interessante da seguire. Alcune proiezioni ACID segnano i momenti migliori di Cannes. Uno di questi potrebbe essere il film di Benoit Forgeard. Forgeard è attore, autore, regista. Fa parte di un gruppo di autori che ruota attorno all’indipendente Ecce Films di Emmanuel Chaumet. Nei suoi cortometraggi ha fatto vedere un cinema poetico e politico al tempo stesso, quasi sempre sopra le righe. Su carta, Gaz de France sembra portare la ricetta a maturazione, con un film che prende in prestito l’ironia dei fratelli Marx per dire: se la fantascienza vi sembra raccontare l’attualità vi sbagliate, in realtà è già storia. Vedremo.
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