L’Intifada dei bambini
Gerusalemme Negli ultimi tre mesi arrestati nella zona araba della città santa oltre 700 palestinesi, molti dei quali minorenni. Eppure il sindaco israeliano Nir Barak promette il "pugno di ferro" per mettere fine alle proteste scatenate dall'uccisione di due adolescenti e dall'offensiva contro Gaza
Gerusalemme Negli ultimi tre mesi arrestati nella zona araba della città santa oltre 700 palestinesi, molti dei quali minorenni. Eppure il sindaco israeliano Nir Barak promette il "pugno di ferro" per mettere fine alle proteste scatenate dall'uccisione di due adolescenti e dall'offensiva contro Gaza
Oltre 700 arresti di palestinesi in tre mesi, in buona parte ragazzini, non sono sufficienti per il sindaco israeliano di Gerusalemme, Nir Barkat, che giovedì sera ha avvertito che sarà usato il pugno di ferro contro gli “arabi”, per mettere fine a quella che ha descritto come l’“Intifada silenziosa” in atto nella zona Est (occupata del 1967) della città. «Voglio essere chiaro su di un punto, useremo la mano pesante nei confronti di chi fa violenza di qualsiasi tipo, non accetteremo lanci di bottiglie molotov contro le stazioni del tram e le case ebraiche», ha scritto Barkat sul suo profilo facebook, in riferimento alle proteste palestinesi a Gerusalemme Est divampate dopo l’assassinio, a giugno, dell’adolescente Mohammed Abu Khdeir e continuate con l’inizio dell’offensiva “Margine Protettivo” contro Gaza. Il sindaco ha colto l’occasione per tirare le orecchie ai giudici, a suo dire troppo “permissivi”, perchè hanno rimesso in libertà molti degli arrestati. Quindi ha rassicurato i residenti israeliani che qualche giorno fa avevano organizzato una contestazione contro il ministro della pubblica sicurezza Yitzhak Aharonovitch, accusato di non avere ancora schiacciato le proteste palestinesi, e il comune che ha dato il via libera a un (rarissimo) progetto di edilizia popolare nel settore arabo della città.
I “violenti” palestinesi contro i quali il sindaco Barkat intende usare la mano pesante sono adolescenti, quasi tutti. Più che di Intifada silenziosa si dovrebbe parlare di Intifada dei bambini, dei ragazzini. Proprio ieri il quotidiano Haaretz riferiva che dei 760 palestinesi arrestati negli ultimi due mesi, 260 erano minorenni e fra di essi figurano anche bambini fra i 9 e i 12 anni, non perseguibili penalmente e che finiscono ugualmente nelle jeep della polizia durante la caccia al dimostrante. Il clima si è fatto incandescente da quando sono stati uccisi a Gerusalemme Mohammed Abu Khdeir, 16 anni (bruciato vivo da estremisti israeliani in risposta all’uccisione di tre giovani ebrei in Cisgiordania) e, più di recente, un altro adolescente, Mohammed Sikronot (dalla polizia). Uccisioni alle quali bisogna aggiungere i circa 500 bambini e ragazzi palestinesi morti sotto i bombardamenti israeliani su Gaza tra luglio e agosto.
Il pugno di ferro di cui parla Barkat in realtà va avanti da tempo e i giudici non sono stati così teneri con i palestinesi come afferma il sindaco. Lo confermano anche gli arresti, a inizio della settimana, di sei ragazzi sospettati di aver partecipato all’attacco di una stazione di servizio, tutti di età compresa fra 13 e 15 anni. Le famiglie accusano la polizia d’aver agito senza prove e sulla base di confessioni estorte con la forza. Da parte sua Haaretz riferisce alcuni casi estremi, fra cui il fermo per molte ore, questa settimana, di bambini di 8-9 anni, in seguito a lanci di pietre e bottiglie vuote contro auto della polizia nel quartiere di Wadi Joz.
Non lontano da Gerusalemme, nella Cisgiordania occupata, intanto sale la protesta di tre tribù beduine palestinesi minacciate di deportazione nella nuova “cittadina”, Talath Nueima, vicino a Gerico. Due tribù, i Jahalin e i Cabaneh, si oppongono strenuamente al piano delle autorità israeliane che prevede l’abbandono forzato delle loro terre situate nelle vicinanze di Gerusalemme. La terza tribù, i Rashaida, chiede una revisione dei progetti annunciati. Per le autorità israeliane non ci sarebbe alcun problema: una volta “insediati” nella nuova località, i beduini potranno ricevere “migliori servizi sociali”. Da parte di chi non si sa. Il piano di deportazione non tiene in alcun conto le necessità di popolazioni abituate alla vita nomade, che si sostengono con la pastorizia. Haaretz, che ha dedicato alla vicenda un editoriale, ipotizza che il tentativo di spedire i beduini a Gerico potrebbe essere stato concepito dal governo Netanyahu per sgomberare terreni necessari a un’ulteriore estensione di insediamenti colonici ebraici.
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