L’intesa con i 5S non è impossibile, ma attenzione ai passi falsi
Governo in crisi I punti interrogativi sono tanti. Una sola cosa quel che resta della sinistra e in particolare il Pd non possono fare. Sacrificare ulteriormente la propria logorata identità
Governo in crisi I punti interrogativi sono tanti. Una sola cosa quel che resta della sinistra e in particolare il Pd non possono fare. Sacrificare ulteriormente la propria logorata identità
Ripetiamolo: una minaccia gravissima pesa sulla nostra democrazia parlamentare. Il centrodestra dominato dalla Lega salviniana potrebbe tracimare eleggendo in proprio il prossimo Presidente della Repubblica, modificando a sua immagine la Costituzione e portando l’Italia fuori dall’Europa. Il regime di illegalità sperimentato da Salvini diverrebbe la norma ed egli potrebbe continuare a perpetrare indisturbato i suoi «crimini di pace» consistenti nell’infliggere sofferenze gratuite a persone inermi e già provate, a puro scopo propagandistico. Tutti noi che condividiamo questa diagnosi abbiamo il dovere di trovare il modo di impedirglielo, tralasciando ogni altra considerazione. Evitare il peggio è l’imperativo categorico.
CIÒ SIGNIFICA evitare elezioni convulse a breve termine; e l’accordo politico tra Pd e 5 Stelle appare a molti la condizione obbligata per raggiungere questo risultato. Lasciamo stare le recriminazioni e le accuse di voltafaccia – tutte fondatissime – che vi si oppongono. In fondo, sono poca cosa rispetto alla posta in gioco. Renzi, abile come sempre, ha voluto essere il primo a dare il buon esempio: hanno messo in manette l’immagine di mio padre, ma per me la sorte del Paese è più importante. Ineccepibile. Ma non è questo il punto centrale. Il punto non è – in senso stretto – se «baciare il rospo» perchè nessun rospo è troppo ripugnante se ci assicura la salvezza. Il problema è semmai se la soluzione indicata sia realisticamente possibile e davvero efficace o se, essendo destinata a deragliare, abbia il solo effetto di offrire nuovi potenti argomenti alla campagna dello sceriffo in costume da bagno che stringe in pugno il rosario. Su questo dilemma pesano incertezze grandissime che è difficile dissipare oggi.
COMINCIAMO DALLA questione dell’affidabilità dell’interlocutore. Intanto, per la sua natura e la sua genesi nel solco dell’antipolitica. L’accreditamento dei 5 Stelle come ala di sinistra del populismo al governo è stato nel migliore dei casi un madornale equivoco. Credo che non sia esagerato parlare di una vocazione tecnicamente eversiva dei 5 Stelle, meno plateale ma altrettanto sostanziosa di quella salviniana. Sta scritta nei loro simboli, a cominciare dalla scatola di sardine: una metafora straordinariamente rivelatrice al di là delle intenzioni del Comico. In una sintesi mirabile, essa contiene l’idea dello scardinamento del Parlamento da parte di un partito che intende conquistare la maggioranza assoluta, spazzare via tutti gli altri e ridurre il Parlamento stesso a una proiezione delle proprie istanze di giustiziere.
PER QUESTO I 5 STELLE hanno proclamato sempre come un dogma che non avrebbero stretto patti con nessuno. Era la conseguenza della vocazione apocalittica ed escatologica del movimento, pienamente interna al populismo contemporaneo. Le procedure occulte di elaborazione delle decisioni attraverso la piattaforma Rousseau dovevano esserne lo strumento tecnico. La trasformazione della democrazia rappresentativa in democrazia «diretta» digitale, il supporto teorico. I sorrisi tesi del «bravo ragazzo» intenzionato a chiedere l’impeachment del Capo dello Stato perché osava contraddirlo, la prima traduzione naif. La tentata chiusura di Radio radicale, il manifesto e Avvenire un indizio perfetto. Non importa che i propositi siano naufragati. E’ cambiato qualcosa in tutto questo? Lo stato di prostrazione in cui i 5 Stelle versano, li indurrà a modificare questo aspetto della loro costituzione? Saranno mai capaci di una tale metamorfosi? E se non accadesse, a quale filo rimarrebbe sospeso il patto sottoscritto con loro?
IL SECONDO ASPETTO è quello strettamente programmatico. È possibile che i 5 Stelle, animati dal terrore di dover interrompere la legislatura sull’onda del salvinismo rampante, si acconcino a lasciare da parte le questioni che più radicalmente li dividono dalla sinistra e a puntare l’attenzione su quelle che li avvicinano. Certo, sulle politiche sociali esistono divergenze forti, ma non radicali incompatibilità.
UN PERCORSO COMUNE è difficile, non impossibile: sostegno alla povertà, lotta contro la precarietà del lavoro e contro l’evasione fiscale, incentivi all’occupazione. Sul clima e l’ambiente, tema ignorato o quasi dal Pd e trattato in maniera sconsiderata dai 5 Stelle, le rispettive posizioni su singoli aspetti concreti si sono già molto radicalizzate sicchè su scelte come la Tav, le trivellazioni in mare, l’Ilva e via dicendo la composizione del contrasto sarebbe impossibile senza la perdita di identità di uno dei due. E che dire del tema cruciale dei migranti e dei rifugiati, che investe un principio di civiltà e di umanità non negoziabile? Potranno i 5 Stelle, dopo aver difeso tutti i diktat salviniani, avallato i suoi crimini e rivendicato come propri i risultati della sua politica disumana, fare su tutto questo un’inversione di centottanta gradi? Potranno non tanto limitarsi – come ora lodevolmente ma tardivamente cercano di fare per rifarsi una verginità – a disapplicare i decreti sicurezza, ma spingersi alla loro immediata cancellazione? Potranno procedere a fare col Pd quel che il Pd non ha saputo o voluto fare quando era al governo, come lo Ius soli?
E chi potrebbe guidare questo percorso? Forse Di Maio, che è stato l’attore principale del cedimento e della disfatta e che tuttavia non appare intenzionato a farsi da parte? O forse Conte, che ha trovato uno scatto di dignità e di autonomia solo quando è stato licenziato in malo modo da Salvini? Semmai qualcuno come Fico, che ha sempre rimarcato la sua distanza sulle questioni di principio. Ma quanti sono, nelle file dei 5 Stelle, quelli che hanno la forza e il coraggio di compiere una tale rivoluzione senza chiedere permesso a Grillo e Casaleggio, prendendo in mano il proprio destino?
DUNQUE, I PUNTI interrogativi sono tanti. Una sola cosa quel che resta della sinistra e in particolare il Pd non possono fare. Non possono sacrificare ulteriormente, in vista di un risultato comunque incerto, la propria logorata identità. Non possono dare nuovo alimento alla propria immagine deformata di forze inclini alla litigiosità e al compromesso, appannate e incerte sui principi, disposte ad accordarsi con chiunque per attaccamento al potere, ripiegate su se stesse e pronte ad accollarsi le politiche di sacrificio sulle spalle dei più deboli, disposte a tutto pur di non sottoporsi al giudizio degli elettori. Ogni passo in questo senso sarebbe fatale.
In un quadro di democrazia rappresentativa sempre più fragile e malato, dominato da una destra populista ed eversiva che comprende stagionati campioni della democrazia illiberale come Berlusconi, adepti riciclati della demagogia plebea come Salvini e apprendisti stregoni della democrazia digitale come Di Maio, quest’area di cui il Pd è pur sempre l’architrave è quanto ci rimane per condurre qualsiasi battaglia. Contribuire a logorarla, da dentro o da fuori, a svalutarla e a denigrarla, sarebbe un delitto autolesionista.
LO HA DETTO il vecchio e saggio Macaluso parlando appunto del Pd, sul quale non ha mai risparmiato giudizi scoraggianti: «Siccome non c’è altro – ripeto: non c’è altro – dico a tutti che demolirlo significa rafforzare la destra». Sarà questo il metro di misura principale delle scelte che ci attendono nei prossimi, drammatici giorni.
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