Sono la poesia e l’ispirazione che l’ha prodotta i «fili rossi» che attraversano la monografia che La Civiltà Cattolica dedica a Pasolini per il centenario della nascita (Pasolini. Gli scritti della Civiltà Cattolica, pp. 136, euro 10,99).
Il volume raccoglie i saggi pubblicati sul quindicinale dei gesuiti, le cui bozze passano al vaglio della Segreteria di Stato vaticana, in oltre un sessantennio, dal 1961 al 2022: undici in tutto, con una lunga cesura in cui non esce nulla fra il 1970 e il 1994.

ATTRAVERSO ESSI è possibile cogliere l’evoluzione della rivista e anche la metamorfosi della Chiesa, dalla fase preconciliare (nel 1961 c’era papa Giovanni XXIII ma il Vaticano II non era ancora cominciato) ad oggi. È interessante leggere in parallelo il primo e l’ultimo saggio, entrambi dedicati alla Religione del mio tempo, nei quali muta radicalmente non solo il giudizio estetico ma anche quello etico su Pasolini.

Per padre Giuseppe De Rosa, che scrive nel 1961, Pasolini è un «poeta mancato». In lui c’è «passione», ma «la passione non basta per fare un poeta; e poi, la sua, si direbbe una passione cerebrale, più voluta sentire che sentita realmente. C’è perciò nella sua poesia qualcosa di falso, di non autentico: anche la rabbia, l’odio, la disperazione hanno un suono falso, letterario, a parte qualche frammento in cui si avverte una commozione più sincera, e qualche sprazzo di autentica poesia». Ed è una sorta di eretico, anzi di blasfemo.

«Per la Chiesa ed il cattolicesimo – scrive De Rosa – il Pasolini ha una violenta idiosincrasia: al solo sentirli nominare, diviene furibondo, ed insulta, maledice, bestemmia», perché «col cristianesimo egli ha un conto personale da regolare», sentendosi «tradito dalla Chiesa».

DA «POETA MANCATO», Pasolini diventa «un poeta che ha detto tutto di sé nelle sue poesie», scrive padre Virgilio Fantuzzi nel saggio (postumo) pubblicato sulla rivista in uscita il 5 marzo 2022. «Egli è stato un artista multiforme», prosegue, che «si è espresso non soltanto in diverse forme dell’uso della lingua, ma anche con il cinema e con altre forme artistiche», tuttavia «la parte centrale della sua opera, la parte più alta e profonda allo stesso tempo, è la poesia». E anche una sorta di poeta del «sacro», scrive ancora Fantuzzi che, da esperto di cinema quale è stato, ritiene il Vangelo secondo Matteo l’opera cinematografica-poetica più emblematica di Pasolini: «Nel cinema non mi era mai capitato prima, e neppure dopo a dire il vero, di vedere un’opera nella quale il senso del sacro e la sensibilità moderna formassero un amalgama altrettanto compatto».

Poeta del «sacro», e non del religioso, perché «in Pasolini c’erano due elementi contrastanti che convivevano all’interno della sua personalità: da una parte, una religiosità di tipo istintivo, informe, lontana dalla sistematizzazione dei dogmi del cristianesimo inteso come religione istituzionale; dall’altra, come figlio del suo secolo, non poteva non razionalizzare tutto questo».