Cultura

L’insopportabile click negato dell’Art bonus

Appello Il testo della petizione lanciata dal movimento «Fotografie libere per i beni culturali». Più di quattromila firme raccolte tra ricercatori, archivisti e docenti di diverse discipline

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 giugno 2015

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Il decreto legge «Art Bonus» (31 maggio 2014, n. 83), entrato in vigore il primo giugno del 2014, aveva finalmente autorizzato la libera riproduzione di qualsiasi bene culturale (articolo 12, comma 3) con notevoli benefici per gli studiosi impegnati in ricerche documentarie presso archivi e biblioteche, costretti a spendere cifre anche considerevoli per riprodurre documenti d’archivio e manoscritti.

Ma i sogni più belli, purtroppo, spesso sono anche i più effimeri: dopo poco più di un mese, il 9 luglio 2014, la Camera dei Deputati, nel convertire il decreto in legge, approva un emendamento restrittivo che esclude dalla libera riproduzione i beni archivistici e bibliografici. Risultato? Per i documenti di archivio e i manoscritti si torna d’improvviso al regime precedente:

a) negli istituti che permettono agli utenti di fotografare si continuano a tassare le fotografie (fino a 2 euro a scatto!);

b) negli istituti che negano agli utenti la possibilità di fotografare si torna all’obbligo di foraggiare ditte private o fotografi ai quali il servizio di riproduzione è affidato in appalto esclusivo. Si torna così a pagare un servizio assolutamente inutile, con burocrazia e tempi di attesa per la consegna delle immagini altrettanto inutili, a cui l’utenza rinuncerebbe volentieri se gli fosse consentito il libero uso del proprio mezzo in sala studio, come già avviene agli Archivi Centrali di Londra e Parigi.
Oggi ai turisti è concessa libertà di selfie per fotografare beni culturali conservati nei musei. Ma i beni archivistici e bibliografici non sono forse anch’essi beni di tutti che la libera ricerca ha il compito di studiare e valorizzare al meglio? Ostacolare le riproduzioni, opporsi alle straordinarie potenzialità della fotografia digitale, tassare la ricerca vuol dire soffocarla e mercificarla, non certo promuoverla secondo un principio espresso dalla stessa Costituzione (art. 9). Questo spontaneo «movimento» di idee mira a rendere libera da preventiva autorizzazione e gratuita la riproduzione, tramite fotocamera (o smartphone) personale, delle fonti storico-documentarie normalmente disponibili alla diretta consultazione in archivi e biblioteche nel rispetto delle norme a tutela della privacy e del diritto di autore (l’appello può essere sottoscritto all’indirizzo Internet: http://fotoliberebbcc.wordpress.com). Il movimento sostiene la necessità di rivedere l’emendamento restrittivo per ripristinare lo spirito originario del decreto «Art Bonus», bene espresso dalla relazione illustrativa della Camera dei Deputati, al fine di agevolare al massimo la ricerca scientifica condotta ogni giorno da centinaia di ricercatori e professionisti dei bei culturali (storici, storici dell’arte, archeologi, restauratori, architetti) già costretti ad operare in condizioni economiche e professionali assai precarie, il più delle volte armati della sola passione.

Perchè liberalizzare le riproduzioni in archivi e biblioteche? Ecco 10 buoni motivi per farlo.

1. La tecnologia digitale agevola sensibilmente le operazioni di trascrizione, con la possibilità di rivedere la propria trascrizione in luoghi e tempi diversi da quelli di consultazione diretta;

2. Lo scatto fotografico è assimilabile nello spirito e nelle funzioni all’atto di prendere appunti (la fotocamera digitale è mezzo di fruizione del documento come la matita personale o il computer portatile);

3. La riproduzione a distanza non sottopone di per sé la documentazione ad uno stress maggiore di quello subito durante la normale consultazione;

4. La riproduzione a distanza contribuisce anzi alla sua tutela del documento sia perché, a differenza della fotocopia, non implica un contatto diretto con il supporto, sia perché riduce al minimo il numero di accessi diretti alla documentazione consultata;

5. Si rendono più sostenibili i costi della ricerca permettendo agli utenti degli archivi di evitare lunghi e costosi soggiorni in trasferta;

6. Si attenuano le disparità esistenti tra studiosi che dispongono di maggiori o minori risorse economiche, contribuendo a garantire un accesso più democratico ai fondi documentari (si pensi ai giovani laureandi, ai dottorandi privi di borsa, ma anche a tutti coloro i quali sono costretti a rinunciare alla ricerca archivistica per motivi di tempo e per i quali la fotografia libera sarebbe invece un valido supporto);

7. Si incentiva la valorizzazione del patrimonio archivistico e bibliografico nazionale coinvolgendo come soggetti attivi un maggior numero di studiosi;

8. Si contribuisce a valorizzare l’insieme del nostro patrimonio culturale: il turismo di qualità si nutre infatti di contenuti culturali che sono spesso esito della ricerca documentaria condotta in archivi e biblioteche;

9. Può costituire un’occasione di rilancio dell’immagine delle biblioteche e degli archivi che, sempre più marginalizzati, stentano ad essere percepiti come effettivi centri di diffusione della cultura oltre che come centri di conservazione;

10. Liberalizzare significherebbe stringere una rinnovata ‘alleanza’ tra operatori e utenza risaldandone il fondamentale rapporto fiduciario: da un lato numerosi utenti in archivio eviterebbero tentativi di eludere la sorveglianza fotografando furtivamente manoscritti e documenti in violazione delle norme, dall’altro gli istituti che custodiscono i fondi documentari sarebbero nelle condizioni di favorire il più ampio accesso alle fonti e creando le condizioni per la più ampia diffusione del sapere.

Le prime firme dell’appello:

Gregorio Arena (Labsus), Massimo Bray (direttore editoriale Treccani), Massimo Cacciari, Claudio Ciociola (Sns), Andrea Carandini, Umberto Curi, Carlo Federici, Carlo Ginzburg (Sns), Andrea Giardina (Sns), Pierre Gros, Adriano Prosperi (Sns), Alfredo Stussi, Gianni Vattimo,  Lawrence Lessig (Harvard University, fondatore delle licenze «creative commons»),  Marisa Dalai Emiliani, Roberto Cecchi, Roberto Delle Donne, Mariella Guercio, Adriano La Regina, Daniele Manacorda, Ludovico Ortona,  Antonio Pinelli, Giuliano Volpe (presidente del Consiglio Superiore per i Beni culturali e paesaggistici del Mibact), Bruno Zanardi, Luigi Zangheri (presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze), Marco Contini (direttore della Società Pannunzio per la libertà d’informazione), Flavia Marzano (presidente degli Stati Generali dell’Innovazione), Tomaso Montanari e Giovanni Solimine.

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