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L’ingranaggio si è inceppato

L’ingranaggio si è inceppatoPierre Bergé, Laetitia Casta, Yves Saint Laurent

ManiFashion L'ultima (ri)scoperta dei guru della moda? Una figura manageriale che non imponga al creativo il limite del marketing e che riesca a vendere la creatività che esprime il designer

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 16 aprile 2016

Le cose della moda sono molto cicliche, anche se ogni volta sembrano nuove perché in genere l’informazione che si occupa di moda, e gli addetti in genere, amano avere la memoria corta. L’ultima scoperta dei guru della modernità è la figura dell’Amministratore Delegato che abbia un’assoluta conoscenza delle dinamiche del settore e che sia portatore anche di una visione gestionale tale da non impedire la libertà creativa del designer. In pratica, oggi la moda richiede una figura manageriale che non imponga al creativo il limite del marketing e che riesca a vendere la creatività che esprime il designer.
In realtà, più che una scoperta sarebbe una riscoperta se non fosse, invece, un’emergenza.

Una delle tante dovute a una situazione difficile che deve affrontare il settore dopo aver creduto a lungo che i manager della grande distribuzione avrebbero vinto sulla trasformazione dei mercati da local a global. Agli inizi del 2000, per esempio, un gruppo come PPR (ora Kering) aveva perfino pensato che un manager proveniente dal mondo dei surgelati potesse gestire un gruppo come Gucci. Uno scontro di vedute che aveva provocato l’uscita di Domenico De Sole, manager, e di Tom Ford, creativo, che nel decennio precedente avevano creato il fenomeno Gucci. Negli stessi anni, in molte altre aziende si sono installati gli AD che prendevano di possedere il verbo del «pezzo iconico» e hanno cominciato perfino a imporre agli uffici stile i modelli delle borsette pensati da loro stessi e che, secondo loro, dovevano costruire quel fatturato che non arrivava dagli abiti disegnati degli stilisti. L’esperienza si è dimostrata infausta, perché la massificazione della grande distribuzione ha creato quel mostro che è sotto gli occhi di tutti, con la moda ridotta a un prodotto di lusso diffuso con le logiche dei cibi precotti.

Ora l’attenzione è puntata su Marco Bizzarri, il Presidente e Ceo di Gucci, che ha avuto il coraggio di rompere l’ingranaggio inceppato del sistema e, con la nomina di un creativo outsider come Alessandro Michele, ha risollevato la reputazione internazionale del marchio. Tra l’altro, lavorando in piena complicità con il direttore creativo, con la sua decisione di riunire in un’unica sfilata la presentazione delle collezioni uomo e donna ha soltanto iniziato a ribaltare l’intero sistema internazionale della moda, che sarà costretto ad adeguarsi alle sue decisioni da apripista.

La complicità di lavoro tra Bizzarri e Michele ha pochi precedenti in quest’ultimo ventennio, se si esclude il citato rapporto simbiotico tra De Sole e Ford, e l’assoluta assonanza tra Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, i coniugi che hanno attirato sulla moda italiana le luci di tanti fari globali. Ma è comunque l’attualizzazione di una formula vincente che, negli Anni 60, ha fatto nascere la moda moderna. Le coppie Valentino-Giancarlo Giammetti e Yves Saint Laurent-Pierre Bergé sono le più conosciute. E non vanno citate per nostalgia, ma come esempio di funzionamento insuperato.

Oggi, ovviamente, i tempi sono diversi, ma non risultano esserci altre formule vincenti. Tanto che a quel modello si sta tornando, seppure senza le relazioni sentimentali tra creativo e manager. Del resto, dove manca questo modello si notano situazioni inceppate.
E si può citare l’esempio di Louis Vuitton, dove il tandem Burke-Ghesquière non riesce a produrre visioni convincenti né incrementi significativi di fatturato.

manifashion.ciavarella@gmail.com

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