Cultura

L’«infrapolitica», esercizi per una resistenza quotidiana

«La rivolta», Honoré Daumier«La rivolta», Honoré Daumier

Saggi Una nuova pubblicazione di James C. Scott per Elèuthera che affronta il tema delle prassi sovversive nella vita delle piccole comunità

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 19 novembre 2024

In L’infrapolitica dei senza potere (Elèuthera, pp. 336, euro 20), James C. Scott riprende la sua concezione di «resistenza quotidiana» (o infrapolitica) e l’analisi del conflitto tra lo Stato e il mondo vernacolare. È un libro che riassume e amplia altri suoi lavori (di cui vanno ricordati: Il dominio e l’arte della resistenza; Lo sguardo dello Stato, L’arte di non essere governati, Le origini della civiltà).

Scott delinea il conflitto tra la società contadina e la religione e la politica, tra i valori della «piccola tradizione» rurale e la «grande tradizione» delle élite urbane religiose e politiche, descrive le «modalità di dissimulazione» e fornisce un esempio di come i contadini resistono all’invasività politica statale. Si può sicuramente trovare una parentela tra le ricerche di Scott e quelle di Clastres (La società contro lo stato), di Ginzburg (Miti emblemi spie), di Danilo Montaldi (Autobiografie della leggera) e di Foucault (Storia degli uomini infami).

SCOTT SOSTIENE che lo Stato cerca di rendere leggibile la società che domina, trasformando la visione del mondo locale in un sapere standardizzato. Ciò è illustrato da un’analisi dettagliata di come gli Stati producano identità legali sotto forma di cognomi familiari permanenti. La «piccola tradizione» del mondo vernacolare si basa sui villaggi, che sono «comunità faccia a faccia e, come tali, resistono alle astrazioni». I contadini non hanno «relazioni di classe» generali, ma padroni particolari con personalità e relazioni sociali vitali. I piccoli contadini seguono un’«etica della sussistenza» che mira a minimizzare i rischi, non a massimizzare il profitto, e in cui il mantenimento di buone relazioni sociali e di solidarietà con tutti, compresi i padroni, è essenziale per la sicurezza sociale.

Il lavoro di Scott costituisce uno dei corpus più critici dei rapporti che oppongono governanti e governati, anche se permane il paradosso che il suo lavoro abbia dato visibilità a pratiche di resistenza la cui efficacia deriva in parte proprio dal fatto che sono fuori dal radar delle strutture di potere. Scott studia l’economia morale dei contadini e ne identifica le strategie di resistenza: sabotaggio, evasione, finta obbedienza, furto, dissimulazione. Sostiene che l’assenza di rivolte aperte, sommosse, ribellioni non significa conformità ai sistemi di dominio né assenza di resistenza.

QUESTI PICCOLI ATTI di resistenza senza principi, almeno non in modo consapevole, potrebbero essere definiti opportunistici e pre-politici. Il vero problema, risponde Scott, è

«La tendenza ad assegnare maggiore priorità e peso storico all’organizzazione e alla politica rispetto alla resistenza quotidiana, una posizione che fraintende la base stessa della lotta economica e politica condotta quotidianamente dalle classi subalterne – non solo dai contadini – in contesti repressivi»James C. Scott
Forse ciò che manca a questa critica è il riconoscimento della coscienza di classe (e di come essa vada attualizzata – ma, come sappiamo, questo è un compito difficile, che movimenti e pensieri antagonisti non riescono purtroppo a comporre).

Infine, Scott incarna un’indecisione comune nei nostri giorni, tra desideri libertari e rassegnazione «istituzionale». Ci fermiamo al primo movimento di questa oscillazione: in un’intervista, Scott dichiarò che «tutti i movimenti sociali formali, che sono piccoli Stati, sono terrorizzati dalle rivolte dal basso, quindi se si desidera modificare un movimento, bisogna cominciare dal basso, dai movimenti spontanei. I movimenti autonomi mettono molta paura sia ai movimenti sociali formali e che allo Stato».

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