L’industria culturale passata al setaccio
Saggi «La cultura che conta», un volume per il Mulino
Saggi «La cultura che conta», un volume per il Mulino
Quando, nel 1941, Paul F. Lazarsfeld interrompe l’attività di Theodor Adorno per ilPrinceton Radio Research Project si palesa, con assoluta evidenza, una sostanziale inconciliabilità tra la sociologia empirica americana e quella «ideologico-intellettuale», sviluppatasi all’interno della Scuola di Francoforte. Se lo studioso viennese, insieme ai suoi colleghi, si preoccupa di analizzare e quantificare i bisogni, gli interessi e la ricettività del pubblico radiofonico, Adorno, da par suo, propugna un’analisi critica, tesa a portare alla luce quel processo di reificazione culturale, messo in atto – nella società capitalistica statunitense – dalla radio. A determinare questa divergenza metodologica, d’altronde, vanno individuate due visioni largamente dissimili del concetto stesso di cultura, che – a giudizio del filosofo francofortese – non può essere in alcun modo assimilata allo sconfinato numero di «oggetti» standardizzati, generati attraverso quel processo produttivo al quale egli (insieme a Horkheimer) ha attribuito il nome di industria culturale. Nel pensiero adorniano, se la quantificabilità è inscritta in questi prodotti già al momento della loro ideazione, di contro, «la cultura è proprio quella condizione che esclude una mentalità che la possa misurare».
In epoca contemporanea, a fronte delle costanti ridefinizioni del panorama culturale, la rigidità di questa classificazione ha, da tempo, rivelata la sua inadeguatezza (come ben dimostra il progressivo addomesticamento semantico che ha riguardato proprio l’espressione industria culturale). D’altro canto, anche la quantificazione statistica degli oggetti e dei comportamenti culturali è diventata una pratica tutt’altro che inusuale. In Italia sono, in primo luogo, istituti quali la Siae e l’Istat a occuparsene, affiancati da un numero costantemente variabile di enti (pubblici e privati), che – seppur in maniera più episodica – realizzano analisi e pubblicazioni circa l’offerta e il consumo relativo a settori più o meno ampi del sistema culturale nazionale. Nel tentativo di ordinare organicamente una massa di dati dalla difficile consultazione (a causa della continua proliferazione di ricerche e valutazioni) e di darne una lettura critica consapevole (per quanto inevitabilmente parziale), l’Istituto Cattaneo ha realizzato il terzo volume della collana Cultura in Italia, dal titolo La cultura che conta. Misurare oggetti e pratiche culturali, a cura di Marco Santoro (Il Mulino, pp. 364, euro 28). Il volume, composto da nove capitoli tematici, preceduti da una bella introduzione del curatore (affatto utile a orientarsi in un campo non a tutti familiare), ha il pregio di lavorare in maniera ampia sull’idea di cultura, prendendo in considerazione àmbiti tradizionalmente meno indagati all’interno di questi contesti di studio, (come la religione, la scienza e la moda). Nella consapevolezza di non poter essere una «rassegna completa», il testo si pone al pari di una cassetta degli attrezzi, all’interno della quale sono riportate (tra le tante possibili) alcune strategie di lettura, ma, soprattutto, di rielaborazione critica dei dati, in un’ottica non necessariamente economica o economicistica (come spesso accade con la statistica relativa al campo culturale).
Proprio a questo punto, però, le intenzioni del volume sembrano arenarsi, in parte, di fronte alla difficoltà di delimitare con precisione il terreno di pertinenza di uno specifico settore culturale (dove finisce la musica colta e comincia quella popolare?), in parte, per l’impossibilità di svincolare, fino in fondo, una serie più o meno corposa di dati da quella funzione specifica per la quale erano stati raccolti in origine. Soprattutto, accade spesso che la quantità di strumenti messi in campo non riesca, poi, a produrre delle analisi realmente efficaci. Così, la corposa articolazione di statistiche, valori e grafici finisce, talvolta, per rimanere priva di quella contestualizzazione necessaria a decifrarli efficacemente, altrove, per giungere a conclusioni del tutto evidenti e ampiamente verificabili con strumenti di ben più pratico utilizzo.
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