Cultura

L’indicibile verso dell’amore e delle relazioni

Mordecai Ardon, «The Creation - Gimel Dalet» (1970)Mordecai Ardon, «The Creation - Gimel Dalet» (1970)

POESIA «Bianca», di Barbara Giuliani per Neo Edizioni

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 25 agosto 2022

L’amore è una cosa difficile. Le relazioni sono difficili, con la loro imprevedibilità, con i rischi e le fragilità che coinvolgono. Le parole possono forse avvicinare l’ineffabile, ma ciò che, meglio di tutto, possono è mimare con il loro ritmo, con il loro suono dolce o ricercato, con gli spazi bianchi fra un rigo e l’altro, ciò che si può solo sentire, ciò che istruisce la complessità dell’esperienza.

BARBARA GIULIANI è riuscita in Bianca (Neo edizioni, pp. 98, euro 12) a scrivere un libro sull’indicibile dell’amore esprimendolo senza dirlo mai davvero, per il timore – o la certezza – che ogni frase detta oggi su questo oggetto impalpabile risulterebbe di troppo e vana. Bianca è forse un nome di donna, ma bianca è attributo che comunica purezza, innocenza, pulizia, presenza disarmata nella relazione. Bianca è un colore che ne combina infiniti altri, come quelli che ricorrono nelle poesie di Giuliani, per dire la grigia verità e la menzogna fluorescente, per tingere d’angoscia gli innumerevoli fili che compongono, disordinati e sempre da districare, una vita. Ma i versi di Giuliani sono anche tattili, lisci o scabri, spigolosi o smussati con un paziente lavoro di levigatura, che, alla ricerca del felice incastro con l’altro, spesso lascia cadere rifiuti emotivi da smaltire con attenzione. In questi versi si trovano poi odori, gusti, per approssimarsi a ciò che altrimenti rimane muto.

Un libro d’amore che non parla d’amore, in cui l’oggetto è forse qualcosa che si sta incrinando e che abita la dimora della mancanza impossibile da ricucire, se non nel sogno, quando ciò che rimane sveglio nella nostra anima ancora misura i passi della distanza.
Una distanza difficile da quantificare, quando si fa divario incolmabile e i quintali di sale lasciati cadere lungo la strada per tracciare il proprio passaggio si fanno sempre più rarefatti; quando a essere conservata sotto sale è forse la speranza di una catastrofica metamorfosi.

COSÌ ciò che era più familiare, la voce, gli occhi, lo zucchero e il caffè, iniziano a sfumare, come ogni sostanza organica destinata alla decomposizione: si avverte la stanchezza del quotidiano stantio, l’agonia di un viaggio infinito su una corsia unica, quando di unico ormai sembra rimanere poco. C’è profondità, c’è infinita dolcezza, c’è crescita anche nell’abbandono, nella mancanza che esso lascia.
E solo in un’occasione, nel brano più breve in cui a dominare è il bianco della pagina, Bianca alza lo sguardo in un afflato di futuro che coinvolge anche il lettore. Alla speranza frustrata di essere accolti, fosse anche nel proprio parlare delle rape da acquistare e cucinare, segue un timido sospiro, accompagnato da poche parole nostalgiche, ma certamente consapevoli che altro avrebbe potuta essere la vita e altro potrà diventare.

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